#TFF36 – Fireflies are gone, di Sébastien Pilote

Se lo script di Fireflies are gone fosse una canzone, molto probabilmente sarebbe Eleanor Rigby dei Beatles, struggente ballata che in stile Spoon River Anthology raccontava di persone persone sole in un mondo che va avanti imperterrito.

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«All the lonely people/Where do they all come from?/All the lonely people/ Where do they all belong?». Sembrerebbero proprio queste le domande cucite addosso ai protagonisti di questa storia, ambientata però non in una fredda chiesetta del Merseyside ma in una cittadina canadese ai primi tepori estivi.
Come non chiedersi da dove venga e a chi veramente appartenga Léo (la giovane Karelle Tremblay già tenuta d’occhio a Cannes 2015)? Come non farsi le stesse domande per Steve (Pierre -Luc Brillant)?
Lei è una ragazzina che non avrebbe sfigurato tra i personaggi di Gioventù bruciata, sempre così annoiata dalle cose, prigioniera di una situazione familiare scomoda e di una città così dannatamente in ordine. Quando incontrerà Steve e gli chiederà di impartirgli lezioni di chitarra, si dichiarerà immediatamente: «Tanto mi stuferò tra un mese. In vita mia ho già provato con il piano, col violino e persino il taekwondo. Ma mi annoio e mi stufano».
Steve invece è un trentenne taciturno sostenuto solo dalla forza di un sogno, quello di suonare la chitarra. Abita nello scantinato di casa, fingendo un’indipendenza dalla madre che è tutto fuorché effettiva. Due persone solitarie insomma, due lonely people.  

Le capacità di scrittura di Sébastien Pilote (terza volta al TFF per lui), autore anche della regia del film, fanno di Fireflies are gone, un eccezionale manifesto della generazione off the wall (per ulteriori suggestioni musicali si ascolti Steel and glass di John Lennon), cristallizzata nelle abitudini di due protagonisti che proprio non riescono a sentirsi in armonia col contesto in cui sono condannati a (soprav)vivere.  

The Fireflies are gone
«I giovani d’oggi non pensano al futuro» ripete in continuazione lei. «Boh!» risponde ad ogni domanda lui. 
Poi gli scambi tra i due si fanno sempre più fitti e credibili. L’empatia è alta perché un conto è essere soli, un altro è esser soli in compagnia. C’è una complicità che farebbe pensare quasi ad un’unione carnale, oltre i limiti del consentito.
Ed è proprio in questo bivio che si perdono tutte le potenzialità di Fireflies are gone, film che in fin dei conti vorrebbe parlare di come uscire da un certo tipo di omologazione, ma che alla fine non straborda mai oltre il confine del politicamente corretto.
Léo e Steve restano lì, continuamente aggrappati alla scusa di sentirsi fuori dai giochi. Accomodati e accomodanti su uno sgabello di qualche locale in centro.
Che la loro non sia invece una ben più miope mancanza di coraggio?

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