#TFF36 – Nos batailles, di Guillaume Senez

In concorso nella selezione ufficiale del Torino Film Festival c’è Nos Batailles di Guillame Senez, la storia di un operaio che dopo la fuga della moglie resta da solo ad occuparsi dei figli piccoli

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Lo sfaldamento di una famiglia e il necessario intervallo per voltare pagina e poter considerare assorbiti i traumi che ne sono derivati è il tempo della storia di Guillaume Senez, che sin dal titolo, Nos Batailles, le nostre battaglie, riporta il discorso su una traiettoria intima, che però finisce per intersecare un continuo incrociare le armi con tutto quello che ci circonda. Olivier (Romain Duris) è abbandonato all’improvviso dalla moglie, Laura, che lo lascia insieme a due figli piccoli da accudire, lui, operaio e sindacalista, che gia faticava prima a conciliare i ritmi di lavoro con la famiglia. Anche la fabbrica, una moderno magazino di smistamento merce, è in agitazione, percorsa dalle ricorrenti ristrutturazioni del personale, o qualche altro modo elegante e formale per definire dei licenziamenti, esuberi provocati di fatto soprattutto dal ritmo efferato richiesto e dalla disinvoltura di sostituire materiale umano esausto con una nuova energia per alimentare la bestia.

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Il tentativo del regista esula dal descrivere un adattamento del protagonista alle sopravvenute situazioni familiari e lavorative, neanche accenna ad una seria forma di reazione, esclusa un’improvvisata impulsiva, e lo lascia, staccando i punti di riferimento cronologici, dentro un indistinto momento post evento, svelando la sua reale natura. Quella di uomo ormai talmente alienato da scontare un distacco, un’incapacità empatica sino al punto più facile di contatto, piatto a tal punto da non distinguere il malessere dei propri cari ed in generali di chiunque gli stia accanto. L’indifferenza indotta dal loop anestetico industriale scava così a fondo ed in profondità, da trasformarlo in un terreno fertile pieno di solchi pronti da innestare il mantra produttivo contemporaneo, sempre fedele alla cieca intolleranza in ossequio al capitale.

Ma il background è solo il pretesto prima di mettere in scena la ripercussioni all’interno di un perimetro più circoscritto, e solitamente accogliente, quando viene infettato. La ricostruzione tiene fede per la lenta propagazione del veleno, per il lento stordimento, e su questi fattori stabilisce le tappe della successione, e poi chiudere su un arrivo che è una nuova partenza, l’inizio della convalescenza e della guarigione. Il deposito emotivo pieno di amore filiale, legami coniugali ed extraconiugali, di parentela o di amicizia sono completamente ammortizzati, i toni di preferenza impostati sul grigio, tutto sembra destinato alla convenzione invece che ad una vera investitura di passione, e quell’incapacità di captare un segnale di aiuto e riconoscere il sintomo di una malattia, più che dovuta al contraccolpo subito, viene il fondato sospetto possa esserne la causa stessa.

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