#TFF37 – Voglio vivere senza vedermi, di Bruno Bigoni e Francesca Lolli

Un lavoro che ha richiesto molto tempo e la raccolta di immagini di vario genere per un film che mese dopo mese prende forma sempre più precisa ed esprime la sua urgenza. In Onde

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Il potere non fa le cose giuste… fa solo la storia. Questa la premessa di Voglio vivere senza vedermi,  ideato e diretto da Bruno Bigoni e Francesca Lolli. Un documentarista e una videoartista, due filmaker di generazioni ed esperienze diverse che uniscono le proprie forze e le proprie intuizioni per realizzare un film a tema senza però mai scadere nel temino. L’opera, che potremmo definire sperimentale, si struttura in tre parti distinte ma contigue: “Voglio vivere senza vedermi”, “Fate che la morte vi colga vivi” e “Se non dovessi tornare, sappiate che non sono mai partita”. Tutto ha inizio dal mito, la fonte di ogni narrazione, con un macellaio che racconta la storia del titano Prometeo, il quale decise di aiutare gli uomini contro il volere di Zeus. A ciò segue l’apertura del vaso di Pandora e la diffusione del male nel mondo, che condanna da quel momento l’umanità a una vita di sofferenze. Lo vediamo nelle citazioni da Artaud, nella necessità di portare a galla lo sporco sedimentato nella società, nel ricordo del ’68 e della forza salvifica dell’arte del Living Theatre. Persa l’opportunità di esistere in pace e anche di ritrovare la speranza, le persone dovranno anche accogliere la morte fra loro, che nel film prende le sembianze di un’anziana donna alla ricerca dell’amore e travolta dalla violenza. È poi grazie al cinema di Dreyer, così asciutto ed essenziale, che gli autori riescono a mostrare l’inenarrabile presente, dominato da conflitti e dalla disillusione degli ideali passati.

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Un lavoro che ha richiesto molto tempo e la raccolta di immagini di vario genere, dal materiale d’archivio al lavoro con gli attori, per un film che mese dopo mese prende forma sempre più precisa ed esprime la sua urgenza. Fra gli interpreti, spicca Riccardo Magherini perché noto al grande pubblico come maschera brillante ma qui orientato al dramma della solitudine, e soprattutto Corinna Agostoni e Ida Marinelli, legate entrambe alla storia di quel Teatro Elfo la cui fondazione si deve anche a Bigoni. Ma l’indefinibilità dell’opera si realizza non meno nel coinvolgimento della giornalista e modella Francesca Interlenghi, corpo in continuo movimento, spogliato da ogni veste per dare forma all’incubo della femminilità violata; e dei professionisti Alice Spito e Stefano Baffetti che sono invece feticcio particolare di Lolli da diversi anni e in qualche modo ne esprimono la sensibilità rivoluzionaria anche in quest’esperienza così radicale.

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