"The Accidental Detective", di Vanna Paoli

L'identità incerta di "The accidental detective" deriva in parte dalla spersonalizzazione del punto di vista. Ciò che manca è un centro catalizzatore che riunisca gli spunti sotto lo stesso sguardo.

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Un titolo inglese per un film italiano raccontato da un protagonista americano. L'identità incerta di The accidental detective deriva in parte proprio dalla spersonalizzazione del punto di vista. Il detective per caso è infatti un avvocato di Chicago spedito a Firenze per indagare sugli affari di un facoltoso collezionista d'arte, morto senza rivelare il motivo dei suoi interessi finanziari in Italia. La ricostruzione del mistero lo porta nei meandri del mondo dell'arte mostrando luoghi usualmente inaccessibili all'occhio della macchina da presa (come la Galleria Palatina schiusa per la prima volta al cinema), e lo spinge, con l'aiuto di una nobildonna fiorentina, sulle tracce di un inedito capolavoro del rinascimento italiano. C'è il mistero di un tesoro da scovare, c'è il viaggio di uno straniero nell'elegante monumentalità di Firenze, c'è l'amore tra il protagonista e la contessina italiana, c'è la comicità delle figure di contorno e soprattutto c'è la storia dell'arte che moltiplica le prospettive del capoluogo toscano. L'assente è un centro catalizzatore che riunisca gli spunti sotto lo stesso sguardo.

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L'evidente agilità di movimento tra gli edifici storici (favorita dalla collaborazione di Cristina Acidini, soprintendente museale e autrice di La scritta sul vetro, il libro da cui il film è tratto) e la meticolosa cura scenografica (con la realizzazione di un quadro alla maniera di Botticelli su un legno originale del '500) non riescono a dare vita ai capolavori mostrati. Il contrappunto dei volti di statue e ritratti in veste di personaggi aggiuntivi, l'interessante descrizione delle applicazioni tecnologiche nello studio delle fasi di realizzazione dei dipinti, restano pretesti anodini per una storia il cui baricentro traballa.
Lo sguardo, guidato con fiscalismo giornalistico su dettagli/indizi, non restituisce senso alle immagini che si succedono prevedibilmente, a mala pena impreziosite dal carisma dell'architettura fiorentina.


Sappiamo dove puntare gli occhi ma non dove puntare il cuore. Forse sul giallo del capolavoro nascosto, o sulla love story tra il protagonista e la rampolla, o magari sull'omaggio alla città di Firenze, ma nulla è abbastanza autentico da trascinare la visione al di là del superficiale esercizio ottico. La sensazione di una collezione di pezzi sparsi si ripropone anche nella colonna sonora, spurio assemblaggio di brani collaudati ma privi di dialogo con le immagini. Lo stesso accade per i siparietti comici che intervallano la storia, ripiegati su se stessi, scollegati da un inesistente umore medio. La morale promossa dal personaggio del falsario filosofo, secondo la quale non è la firma a stabilire il valore artistico di un'opera, ricade così beffardamente sul risultato del film che non riesce a salvarsi dall'impersonalità nonostante la premurosa indagine storica e l'evidente amore per Firenze della regista Vanna Paoli.


Regia: Vanna Paoli
Sceneggiatura: Vanna Paoli, Patrizia Bittini, Jay Pridmore dal romanzo di Cristina Acidini
Fotografia: Franco Di Giacomo, Carlo Tafani, Blasco Giurato
Montaggio: Vanna Paoli, Fiorenza Muller
Scenografia: Andrea Crisanti
Costumi: Lina Nerli Taviani
Interpreti: David Kriegel (David Bailey), Cristina Moglia (Dianora Mazzi Tinghi), Sarah Miles (Smeralda Mazzi Tinghi), Tomas Arana (Matt Brandon), Donald Sinden (prof. Stein), Paolo Bonacelli (direttore della Galleria Palatina), Philippe Leroy (Mario Del Marro), Sergio Fantoni (notaio Baroni), Franco Interlenghi (antiquario Nardini)
Produzione: Mariano Arditi per Corvo Cinematografica
Distribuzione: Istituto Luce
Durata: 103'
Origine:  Italia, 2000

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