The Breaking Ice, di Anthony Chen

Un ménage à trois intenso, capace di legare la tensione erotica che attraversa i corpi di tre anime perdute alle coordinate di una realtà sì glaciale, ma mai impermeabile al calore dei sentimenti


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I personaggi attorno a cui ruotano i lungometraggi di Anthony Chen, almeno nelle fasi iniziali dei vari racconti, sembrano sempre sfasati: quasi avessero perso le coordinate (esistenziali, ma anche geografiche) e fossero impegnati a ricercare l’equilibrio appena perduto in luoghi culturalmente anomali, distanti dai loro territori di provenienza, e in cui rischiano di smarrire anche quel poco di lucidità conservata, prima che i loro cammini li costringano a rispecchiarsi nei traumi e nel malessere di “anime desolate” a loro affini, grazie a cui individuano una (seppur minima) fantasia di salvazione. Nel caso di The Breaking Ice è la città di Yanji, ubicata nella Cina nord-orientale, precisamente al confine con la Nord Corea e nel cuore della prefettura autonoma coreana di Yanbian, a farsi da veicolo fisico delle crisi dei tre alienati protagonisti, presentandosi, come sempre avviene nel cinema del regista singaporiano, come cassa di risonanza dello smarrimento del trittico di personaggi, e dei processi emotivi che li portano a prendere atto della confusione in cui drammaticamente versano.

Presentato due anni fa nella sezione Un Certain Regard di Cannes, dove nel 2013 Anthony Chen conquistò la Caméra D’Or per il folgorante Ilo Ilo, The Breaking Ice segue le classiche strategie narrative coniate, sin dal suo debutto, dal talentuoso cineasta di Singapore, per articolare un racconto dall’alta valenza catartica: materializzata, se vogliamo, per mezzo della lucidità con cui il filmmaker utilizza, in termini drammaturgici, le condizioni atmosferiche del luogo in cui è declinata la storia, tempestato da un freddo quasi polare che rievoca già di per sé la “glacialità emotiva” a cui sembrano destinati i protagonisti, approdati – guarda caso – in un territorio ai loro occhi imperscrutabile e alieno.

Nella città di Yanji, infatti, l’inverno appare inesorabile: sotto il suo gelido tocco, ogni emozione sembra cristallizzarsi, come se non ci fosse spazio per il calore dei sentimenti umani. Ed è in questo reticolo geografico – ed esistenziale – che Hao Feng (Liu Haoran), in visita da Shanghai, trova nel fugace incontro con una guida turistica di nome Nana (la Zhou Dongyu di Under The Light e Better Days) e con Xiao, un inserviente di un ristorante locale anche lui alle prese con un disagio che lo sta soffocando, quella complicità emotiva a cui non sperava neanche più di anelare, e che promette di ridestare questo trittico di anime perdute dall’abisso in cui rischiano, così drammaticamente, di sprofondare. Partendo, perciò, dalle connessioni che si attivano tra i corpi dei tre protagonisti, Anthony Chen mette in scena con The Breaking Ice un ménage à trois intenso, innervato di uno spirito empatico deflagrante, che spingerà Hao, Nana e Xiao a confrontarsi con le proprie crisi più recondite, e a trovare, nel gelo di Yanji, la fonte di un’insperata catarsi.

E a favorire la materializzazione, nel cuore del racconto, di queste sfumature purificatrici, è la natura culturalmente anomala di un territorio come quello dello Yanbian, specchio delle istanze su cui si fonda il precedente Drift. Se nel film in questione una donna di origini africane era impegnata a ricalibrare la propria bussola emotiva in un luogo distante dalle sue radici qual è la Grecia, alla luce di un travolgente terremoto interiore favorito – guarda caso – dalla nascita di un’amicizia con una guida turistica americana (e quindi anche lei “straniera” o “aliena”), un fenomeno perlopiù analogo viene reiterato dagli stessi protagonisti di The Breaking Ice; immersi, sembrerebbe suggerire Chen, in una realtà microcosmica, privata delle liturgie e dei codici culturali del paese da cui i tre provengono e dove hanno maturato le loro crisi (cioè la Cina Continentale) e che in virtù di questa sua anomalia geografica/spaziale – sfruttata saggiamente dal regista – presenta ad Hao e compagni un luogo dove affrancarsi, almeno momentaneamente, dal malessere che covano nel profondo del loro animo, e in cui diventa possibile afferrare la natura di un disagio apparso a lungo sfuggente. Un fattore che il film riesce a rendere materico proprio grazie alla precisione con cui connette la tensione erotica che attraversa i corpi dei protagonisti alle coordinate di una realtà solo apparentemente impermeabile al calore delle emozioni. Anche se alcuni estetismi di fondo, ravvisabili soprattutto nella sua sezione centrale, rischiano di depotenziarne quell’afflato catartico presente in ogni immagine del racconto.

Titolo originale: Ran Dong
Regia: Anthony Chen
Interpreti: Zhou Dongyu, Liu Haoran, Qu Chuxiao, Ruguang Wei, Liu Baisha, Zhao Whenhao, Li Yusheng
Distribuzione: Tucker Film
Durata: 97′
Origine: Cina, Singapore, 2023

La valutazione del film di Sentieri Selvaggi
3.7
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Il voto dei lettori
3 (1 voto)

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