The Cloverfield Paradox, di Julius Onah

The Cloverfield Paradox rinnova l’abilità promozionale del franchise di J. J. Abrams. Ma non risolve il conflitto sulla reversibilità tra la diffusione cinematografica e quella su Netflix

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Se si dovesse scegliere un caso in cui un film ha avuto una campagna promozionale superiore al suo merito, il primo titolo che verrebbe in mente sarebbe Cloverfield di Matt Reeves. Il monster-movie prodotto dalla Bad Robot di J. J. Abrams era anche cinematograficamente efficace per la sua capacità di trasportare il linguaggio del found-footage nelle convenzioni della fantascienza. Tuttavia, il suo approccio innovativo è sempre stato secondario rispetto all’esperienza della sua prima apparizione tra i coming soon. Il film distrusse il record dell’epoca relativo ad un esordio nel mese di gennaio soltanto grazie alla curiosità suscitata dai due minuti del teaser. Il video di una vivace festa in un loft di SoHo terminava bruscamente con una serie di esplosioni e con le persone che scappavano in strada. Gli invitati schivavano una palla infuocata che rotolava in mezzo a Lower Manhattan. Alla fine, i fuggiaschi e lo spettatore scoprivano che l’oggetto era la testa di Lady Liberty. Il suo esempio di viral marketing ha fatto scuola in misura uguale alla scelta di mostrare dal basso la distruzione di New York da parte di un kaiju. Così, l’insolita procedura di distribuzione di The Cloverfield Paradox non è sembrata così sorprendente, date le abitudini del franchise. Il film era disponibile su Netflix appena poche ore dopo la diffusione del primo trailer ufficiale durante il rito collettivo del SuperBowl. A questo punto, è legittimo porsi una domanda che riguarda anche un giudizio sulla qualità del film. Quanto il binge watching ha influito sulla percezione di The Cloverfield Paradox e quanta attenzione gli sarebbe stata riservata se la sua presenza sulla piattaforma digitale non avesse scatenato la solita gara a chi lo ha visto prima? La sceneggiatura di Oren Uziel è una storia di claustrofobia spaziale ricca di stereotipi e difficilmente avrebbe attirato un pubblico se successivamente non fosse stata collegata a Cloverfield. L’idea di suggerire un legame tematico tra film stilisticamente differenti era stata particolarmente felice in 10 Cloverfield Lane di Dan Trachtenberg. Lo spunto di mostrare lo stesso momento da prospettive di sopravvivenza differenti richiede un’idea di messa in scena drasticamente diversa e adeguata al caso. Il film sposa questa scelta in controtendenza con la necessità dei franchise di stabilire un layout riconoscibile per ogni titolo della serie. Tuttavia, la mano dell’esordiente Julius Onah è meno sicura di quella dei suoi predecessori e non corre il rischio delle iniziative personali. Le interpretazioni sono meno ispirate e di conseguenza i personaggi sono meno sfumati rispetto agli standard della saga. The Cloverfield Paradox è un film piatto a livello di messa in scena e non va oltre la pretesa di combinare situazioni già viste in altri classici di genere nella speranza di ottenere un risultato diverso. La trovata più originale dovrebbe essere quella del braccio staccato di Chris O’Dowd che si muove dietro i comandi di una realtà parallela. Eppure, i toni comici negli scambi tra la mano e il suo proprietario nel nostro multiverso sono un plagio da Evil Dead II di Sam Raimi. Spesso, la sensazione è che lo script coltivi la speranza che mischiando le carte nessuno si accorga delle citazioni non dichiarate e le scambi per farina del suo sacco. La prevedibilità del meccanismo del racconto e la scarsa empatia tra lo spettatore e gli astronauti non possono essere pienamente riabilitati dal twist finale. The Cloverfield Paradox rivela il motivo per cui i kaiju sono arrivati sulla Terra ma arrivare all’ultima scena è un’avventura meno entusiasmante di quanto ci si aspettava. In più, chiunque volesse prendersi la briga di scrivere un quarto capitolo dovrà sistemare tutta la continuity di un gioco di piani spazio-temporali che Oren Uziel ha lasciato pieno di strappi da ricucire. Il risultato finale ha l’aspetto di un esperimento interessante che è sfuggito di mano ai suoi autori a che sarà molto difficile riparare. Forse, se ne è resa conto anche la Paramount, che ha deciso di lavarsene le mani e di coprire il budget con la cessione dei diritti a Netflix. In questo caso, il fiuto per un successo o una delusione è ancora una prerogativa di chi ha l’occhio tarato per il grande schermo.

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Titolo originale: id

Regia: Julius Onah

Interpreti: Gugu Mbatha-Raw, Daniel Brühl, Elizabeth Debicki, Chris O’Dowd, John Ortiz, David Oyelowo, Zang Ziyi

Origine: USA, 2018

Distribuzione: Netflix

Durata: 102’

 

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