The Conjuring – Per ordine del diavolo, di Michael Chaves

Con il terzo capitolo di The Conjuring, la metaformosi in blockbuster d’autore della saga è completa. La nuova avventura dei Warren ripensa le sue radici in modo coraggioso, pop e sovversivo

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Eppure qualcosa avremmo già dovuto capirlo dal Caso Enfield, dalla casa infestata della famiglia Hodgson che cambiava forma, si trasformava, inquadratura dopo inquadratura e che tradiva, come annotavamo già nella nostra recensione, la sua natura di occulto blockbuster massimalista.

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A posteriori, è evidente in effetti quanto la saga di The Conjuring sia stata al centro di una lenta trasformazione che l’ha portata ad abbracciare le logiche della Franchise Age, una metamorfosi che con The Conjuring – Per ordine del diavolo, raggiunge il suo stadio finale. In fondo il cambio di passo lo si intuisce già dall’ottima opening, che citando aggressivamente tanto L’Esorcista quanto il De Palma di Carrie, pare voglia esaurire in un raptus il debito citazionista di una saga che ora è pronta a cambiare le regole del suo stesso gioco.  Da quel momento il film si muove infatti attraverso una serie di anomalie consapevoli, che ripensano i rodati meccanismi del film, un po’ come accade con la presenza demonica contro cui si confrontano i Warren, che all’inizio quasi corrode i tratti della rom com. E tuttavia anche quel demone è un depistaggio, poiché la coppia di investigatori, stavolta chiamata a scagionare il giovane Arne Cheyenne Johnson, accusato di un omicidio compiuto in realtà dal demone che l’ha posseduto, si scontrerà in realtà con l’Occultista, il primo villain umano della saga.

Non si tratta di un elemento da sottovalutare. L’Occultista è infatti una minaccia che si muove nell’ombra come il Damien di Omen ma anche come Thanos, un personaggio che dunque già in sé custodisce la grana della Franchise Age contemporanea. Preso atto anche solo di questo dettaglio, il film acquisisce nuove sfumature di senso.

The Conjuring

Perché in fondo, un po’ come accade con la Marvel, tutte le riflessioni attorno al terzo capitolo di The Conjuring passano da James Wan, che qui non dirige ma torna in veste di produttore esecutivo, ruolo chiave di certo cinema popolare. James Wan accompagna infatti Michael Chaves (già elemento della sua factory dopo aver esordito con La Llorona) attraverso una regia a quattro mani, che punta a conservare certi eleganti exploit del suo stile e che lo guida soprattutto nelle scene madri, i momenti più genuinamente Waniani del film. Ma la rivoluzione apportata dalla Franchise Age a The Conjuring è soprattutto linguistica. Dopo il lavoro di Wan su Fast And Furious e Aquaman, non è un caso che, ora la costruzione dei jump scares si faccia più complessa e segua le regole di quel cinema muscolare, né è casuale che sulla Lorraine Warren di Vera Farmiga (ancora lei, ancora il vero centro simbolico della saga), agiscano influenze sempre più lontane dal realismo dei primi episodi ed invece vicinissime ai topos di certo cinema di massa: ora le sue capacità medianiche sono più simili a superpoteri, ora è costretta a scontrarsi con un villain che non solo è il suo doppio negativo ma che proverà a minare il rapporto tra Lorraine ed Ed, in fondo replicando altri confronti pop, come quello tra The Rock e Vin Diesel o quello tra Iron Man e Captain America.

Quella di The Conjuring – Per ordine del diavolo, è una scelta di campo molto forte nei confronti del cinema popolare, coerente ma anche complessa. Il film di Michael Chaves dialoga con chiarezza con le forme del blockbuster ma soprattutto mette tra parentesi il “fatto reale” da cui trae ispirazione la vicenda, riflettendo sulla pervasività del cinema dei franchise e dimostrando come l’unico linguaggio che non genera quelle ambiguità che da sempre contraddistinguono le indagini dei Warren, l’unico che permetta al racconto di raggiungere il suo pieno potenziale, sia proprio quello del blockbuster d’autore.

Lontano dalle atmosfere del primo capitolo, The Conjuring – Per ordine del diavolo probabilmente genererà una forte spaccatura negli appassionati ma il film di Chaves è un prodotto del cui coraggio e passo a tratti sovversivo è necessario tenere conto. Ora, forse, bisogna solo chiedersi se il dialogo con la Franchise Age verrà approfondito o se si è trattato solo di un momentaneo, splendido raptus.

 

Titolo originale: The Conjuring: The Devil Made Me Do It
Regia: Michael Chaves
Interpreti: Vera Farmiga, Patrick Wilson, John Noble, Ruari O’Connor, Julian Hilliard, Shannon Hook
Distribuzione: Warner Bros. 
Durata: 112′
Origine: USA, 2021

La valutazione del film di Sentieri Selvaggi
3.5

Il voto al film è a cura di Simone Emiliani

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Il voto dei lettori
2.15 (26 voti)
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