The Eichmann Show, di Paul Andrew Williams

Le questioni teoriche si intrecciano a quelle etiche, ma il film le enuncia prima ancora di mostrarle. Non resta che una dichiarazione di intenti. Evento speciale per il Giorno della memoria

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Le complesse vicende che portarono alla trasmissione televisiva del processo ad Adolf Eichmann, uno dei più determinati e impassibili responsabili dell’olocausto. Tra il dovere della memoria e le esigenze dello spettacolo. Alto ufficiale e responsabile del traffico ferroviario che portava ai campi di concentramento, Eichmann scappò in Argentina alla caduta del regime. Scovato e arrestato dal Mossad nel 1960, venne trasferito in Israele per essere processato. E si sarebbe trattato di un processo cruciale: il primo criminale nazista a esser direttamente giudicato da un tribunale dello stato ebraico, senza più la “mediazione” di organismi internazionali. Israele si assumeva il compito di giudicare e, così, di far luce definitiva su una verità incontrovertibile, eppur per troppo tempo rinviata. Riaffermare i fatti e diffonderli, “trasmetterli” al mondo intero. Da un lato la giustizia, dunque, con le garanzie di rito, dall’altro la pubblicità, con le inevitabili esigenze della narrazione e della retorica del messaggio mediale. Le esigenze dell’istituzione sono chiare, e, difatti, The Eichmann Show si apre proprio con l’investitura: il produttore Milton Fruchtman al cospetto di Ben Gurion. Ci deve essere un processo e una sola “voce” a raccontarlo, con tanto di addetto stampa che stia lì a garantire l’ufficialità della storia. Ma tra i fatti e il racconto c’è sempre la possibilità, forse la necessità di uno scarto, di una differenza, tutta dovuta al linguaggio che si sceglie, alle sue regole e alle sue evoluzioni. Non a caso, i giudici chiedono che le telecamere non si vedano, che i dispositivi di ripresa siano sottratti alla vista…

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the eichmann show2È questo il primo nodo drammatico su cui si sviluppa il film di Williams, nodo che si duplica e si aggroviglia ulteriormente nel gioco ripetuto tra le immagini “autentiche” dell’Eichmann Trial e la ricostruzione “filologica” di questa produzione BBC, evento speciale nelle sale italiane per il Giorno della memoria. Tra l’una e l’altra serie c’è sempre un salto, qualcosa che inceppa e rallenta il flusso della visione. Ma è un intoppo calcolato, quasi strategico, seppur alla lunga rischia di diventare anch’esso fin troppo meccanico. E allora, l’altra grande linea di tensione che prende corpo è quella che poggia sul rapporto conflittuale tra Milton Fruchtman e Leo Hurwitz, tra il produttore, attento alle esigenze economiche dell’audience, e il regista, che cerca di trovare un senso più profondo rispetto alla semplice “trasmissione” di una testimonianza. I due condividono lo stesso punto di partenza, il dovere di riprendere il “processo del secolo” e offrire così al mondo intero la visione desolante dell’atrocità assoluta del nazismo. Ma se per Fruchtman la catarsi è immediata e quel che viene dopo, è anche business, Hurwitz, documentarista sulla lista nera della Commissione McCarthy, non sa darsi pace, va alla ricerca di quel barlume di umanità residua nel volto di Eichmann, per raccontare la normalità dei mostri (che non esistono…), quell’assurdo celarsi delle tenebre in ognuno di noi. “Dobbiamo renderlo più dinamico”, dice l’uno, “stai su Eichmann”, risponde l’altro. Alla fine nessuno dei due avrà ragione o torto. Non pienamente. Perché il bene o il male si atteggiano in forme che non necessariamente hanno a che fare con la sfera del visibile, si concretizzano in azioni compiute nel campo lungo della storia e delle storie, ma non necessariamente arrivano a meritarsi il primo piano.

 

Le questioni teoriche si intrecciano a quelle etiche, insomma, ma The Eichmann Show le enuncia prima ancora di mostrarle e affrontarle. Le mette in campo con le battute di dialogo, le evidenzia nel tormento disegnato sul gran bel volto di Anthony LaPaglia. Ma delle complessità della materia non resta che la superficie, una dichiarazione di intenti che non raggiunge certo la densità di Frost/Nixon, dov’è la forma stessa a farsi sostanza, dove il rapporto tra le diverse manifestazioni dell’immagine pubblica e la verità sepolta nel cuore genera un cortocircuito nel linguaggio del film. Qui c’è un che di didascalico, un odore di banchi di scuola. Niente di male, in fondo. Perché, alla fin fine, The Eichmann Show onora la sua funzione sociale. La Memoria è salva.

 

Regia: Paul Andrew Williams

Interpreti: Martin Freeman, Anthony LaPaglia, Rebecca Front, Andy Nyman, Nicholas Woodeson

Distribuzione: Lucky Red

Durata: 90’

Origine: Regno Unito, 2015

 

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