The great wall, di Zhang Yimou

Esperienza dal chiaro rimando videoludico, quello che gli appassionati chiamerebbero un tower defense, e neanche di quelli troppo complessi. Operazione pantagruelica cino-hollywoodiana senza padri

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Difficile indicare una paternità precisa all’operazione The great wall, pantagruelica produzione cino-hollywoodiana che piazza Matt Damon e la star seriale Pedro Pascal a fare i conti con Andy Lau e una moltitudine di bestiacce in CGI che vogliono fare breccia nella Muraglia Cinese per fare a pezzi la città imperiale, mangiando sostanzialmente ogni cosa per nutrire l’appetito insaziabile della loro Regina Taotie: il comparto della scrittura tira in ballo pesi massimi come Edward Zwick e Tony Gilroy (portato in dote da Damon?), da una storia del Max Brooks di World War Z (di cui è forse una sorta di remake in chiave fantasy-RPG per molti versi non meno politico…), ma il progetto è magari in qualche misura anche figlio della rinnovata astuzia di movimento di Matt Damon (Manchester by the sea…), e sicuramente della grandeur sempre più incontenibile di Zhang Yimou, visto che in effetti The great wall sembra in più punti una sorta di ibrido strano tra due sue opere come La città proibita e la cerimonia di apertura delle Olimpiadi di Pechino del 2008 (“quelli rossi sono gli arcieri, i neri i fanti, i blu sono tutte donne…”).
E’ vero infatti che il regista non vede l’ora di allontanarsi dall’assedio alla Muraglia a cui i nostri eroi fanno resistenza con profluvio di invenzioni steampunk di corde, pulegge, armi idrauliche a base di “polvere nera”, la quale se trafugata insegnerà al mondo come si spara:  aggrappato ai cromatismi e ai riflessi dorati e arcobaleno della battaglia finale nella città imperiale, Zhang Yimou potrà dunque soltanto nella fase conclusiva del conflitto finalmente liberare la sua passione per le geometrie intarsiate e le prodi leziosità balistiche dei suoi wuxia astratti di culto, Hero e La foresta dei pugnali volanti.

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Non è nello sguardo del cineasta allora il fulcro di The great wall, ma nella chiara direzione del blockbuster transgenico per l’affamatissimo – come un taotie – mercato panasiatico, pratica che con ogni evidenza ha oramai esondato oltre gli argini di Hollywood: in questo, il film di Zhang Yimou finisce per somigliare, più che ad ogni altro sforzo di vicina concezione (Dragon Blade?), ad un successo in Cina come fu appunto il Warcraft di Duncan Jones.
Anche The great wall è a conti fatti un’esperienza dal chiaro rimando videoludico, quello che gli appassionati chiamerebbero un tower defense, e neanche di quelli troppo complessi. Nelle strategie per difendere la Muraglia e nella gestione a turni degli attacchi di generiche creature mostruose da poter trucidare senza rimorso risiede l’effettivo linguaggio di partenza parlato dalle immagini del film, il codice esatto per decifrarle e donare loro un’anima (più che con il gancio tutto occidentale della figura di Willem Dafoe), e l’ovvia destinazione della categoria di pubblico maggiormente centrata a cui l’operazione si rivolge.
Per chi non è avvezzo a giocare, rimane soprattutto un esorcismo per continuare scaramanticamente a desiderare di vedere Andy Lau sullo schermo, nonostante tutto.

Titolo originale: id.
Regia: Zhang Yimou
Interpreti: Matt Damon, Andy Lau, Willem Dafoe, Pedro Pascal, Tian Jing, Eddie Peng
Distribuzione: Universal
Durata: 103′
Origine: USA, Cina, 2016

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