The Guilty, di Antoine Fuqua

Remake de Il colpevole di Gustav Möller, un thriller concentrato e “distanziato”, retto dalla sceneggiatura e dall’interpretazione di Gyllenhaal. Ma Fuqua riesce a liberare la sua irrequietezza

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Non c’erano molti margini di manovra per questo remake de Il colpevole di Gustav Möller, film danese del 2018, di cui Jake Gyllenhaal aveva acquistato immediatamente i diritti. Un thriller in cui la tensione corre sul filo del telefono, di impianto “teatrale”, unità di tempo e di luogo, tutto girato in interni, quasi completamente retto dalla sceneggiatura e dalla performance attoriale. Sulla carta, una storia poco adatta ad Antoine Fuqua, abituato a un cinema più muscolare e incazzato. Ma è l’occasione per ristabilire l’asse con Nic Pizzolatto dopo l’altro esperimento di riscrittura de I magnifici sette. E lo sceneggiatore gli offre un assist non da poco: l’intuizione di uno sfondo infernale, quello degli incendi che devastano le colline di Hollywood. E a un regista abituato a devastare i monumenti del potere, quest’immagine deve essere apparsa come il segno di una vendetta divina, il regno del cinema messo a ferro e fuoco. In questo scenario apocalittico, acquista un significato particolare anche il rimando al vangelo di Giovanni che appare in apertura: “la verità vi farà liberi”, l’avvertimento morale di Gesù che ammonisce i farisei a non scagliare la prima pietra contro l’adultera. La colpa personale, quella del titolo, è solo il riflesso di una condizione generale, di un’umanità sbandata e terrorizzata.

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E, difatti, l’agente Baylor, dalla sua postazione nella sede operativa del 911 di Los Angeles, il numero per le chiamate d’emergenza, sembra a tratti un confessore. Che assiste al delirio notturno di una città nel caos. Ma è lui il primo a esser tormentato, inchiodato al lavoro di centralino dopo una carriera passata per le strade. È in “punizione”, dopo esser stato messo sotto accusa per l’omicidio colposo di un ragazzo di diciannove anni. È la notte che precede il processo e i suoi nervi sono sull’orlo del collasso. All’improvviso, però, chiama una donna in preda al terrore, Emily. Dice di essere stata rapita da un uomo, il suo vecchio compagno, e non sa dov’è diretta. Baylor cerca di localizzarla, allerta la stradale, la CHP, la California Highway Patrol, mette in moto le sue conoscenze, cerca di tranquillizzare la figlia della donna, una bambina rimasta sola a casa con il fratellino neonato. Ma la verità che emerge risulta ben più complicata di quanto appare. Con un’ostinazione che ha quasi del personale, in una lotta contro il tempo, Baylor tenta disperatamente di salvare Emily e di risolvere la faccenda.

Sì, The Guilty si regge in gran parte sull’interpretazione tesa di Jake Gyllenhaal, che, praticamente, è sempre solo nell’inquadratura. La stragrande maggioranza delle volte in primo piano. Gli altri agenti al centralino sono uno sfondo, restano quasi sfocati, intervengono solo nella misura in cui punteggiano il ritmo delle chiamate e delle reazioni del protagonista, per sottolineare le sue intemperanze ed escandescenze. Paradossalmente hanno un peso ben maggiore le voci al telefono, quelle che determinano la linea d’azione di Baylor e stabiliscono con lui le connessioni emotive. E non a caso sono le voci di tutta una serie di grandi nomi, una specie di stuolo di guest star che si affacciano in questo one-man show. Ethan Hawke, icona immancabile di Fuqua, e Peter Sarsgaard, già nel cast de I magnifici sette, Riley Keough, fino a Paul Dano, nei “panni” di un uomo d’affari rapinato da una donna, molto probabilmente una prostituta abbordata per strada.

Fuqua si adatta, orchestra il tutto come un maestro di cerimonie, lavora con il minino indispensabile e riesce a reggere l’alta tensione con un’economia delle informazioni e del set esemplare. E rende funzionale la formula ristretta e ipercontrollata delle riprese in tempi di Covid (il film è stato girato nell’autunno 2020), come il Soderbergh di Let Them All Talk, restituendo quasi una metafora perfetta del clima pandemico, con il disastro che imperversa all’esterno e la claustrofobia forzata della situazione. Il risultato è un cinema concentrato e distanziato, da camera e da lockdown, che trova in Netflix lo sbocco più naturale e conseguenziale. Ma in cui, comunque, Fuqua riesce a liberare la sua vena più irrequieta, trovando un accordo con la rabbia a stento trattenuta del protagonista, un altro degli innumerevoli personaggi “non amabili” della sua filmografia, che sembra sempre incunearsi e scavare nelle pieghe nevrotiche della città. Alla fine, sebbene tutto vada a fuoco e impazzisca, nel tormento del broken people, nelle scelte di espiazione e redenzione, si delinea un’ultima, disperata possibilità di comunione.  

Gli risposero: “Noi siamo discendenza di Abramo e non siamo mai stati schiavi di nessuno. Come puoi tu dire: Diventerete liberi?’. Gesù rispose: “In verità, in verità vi dico: chiunque commette il peccato è schiavo del peccato. Ora lo schiavo non resta per sempre nella casa, ma il figlio vi resta sempre; se dunque il Figlio vi farà liberi, sarete liberi davvero”.

Titolo originale: id.
Regia: Antoine Fuqua
Interpreti: Jake Gyllenhaal, Adrian Martinez, Christina Vidal, Ethan Hawke, Peter Sarsgaard, Riley Keough, Paul Dano
Distribuzione: Netflix
Durata: 91’
Origine: USA, 2021

 

 

 

La valutazione del film di Sentieri Selvaggi
3.7

Il voto al film è a cura di Simone Emiliani

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Il voto dei lettori
3 (23 voti)
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