The Half of it – L’altra metà, di Alice Wu

A quindici anni di distanza dal suo esordio Alice Wu torna a dar voce alla comunità LGBTQ+ asiatica con una nuova teen comedy che ha trionfato al Tribeca Film Festival. Su Netflix

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Il genere teen sta vivendo oggi una stagione fortunatissima.

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Una topografia sconfinata ben ancorata agli archetipi classici, rigorosamente americani – impossibile negare agli States la paternità del genere – : non possono mancare armadietti, zainetti, campi da football e la rigida gerarchia sociale che regge il feudo scolastico. Non solo un campionario di luoghi ma anche e soprattutto di emozioni, inquietudini, rabbia, paure, sentimenti. Perché non c’è coming of age che si rispetti senza amore, senza la (disperata) ricerca dell’altra metà.

Sembra saperlo bene Alice Wu, regista americana di origini asiatiche che ha trionfato alla scorsa edizione del Tribeca Film Festival con The Half of It, film che, come dichiara lo stesso titolo, è costruito attorno al mito platonico dell’androgino, che dà inizio alle vicende. Wu aveva esordito nel 2004 con Saving Face, piccola rivoluzione per il cinema, che allora portò per la prima volta sul grande schermo una relazione d’amore tra due donne asiatiche, rendendosi di fatto un modello nelle cinematografie queer, nonché un must watch per un’intera comunità mai raccontata prima di quel momento.

Con The Half of It, quindici anni più tardi, torna ai territori a lei familiari: attingendo da un lessico letterario amoroso ultraclassico che da Platone arriva al Cyrano di Rostand. Si dice che ogni generazione abbia il suo Cyrano, e questo degli anni duemila non può che tingersi di nuove, modernissime, sfumature. Nessuno spadaccino dal naso prominente, questa volta la poetessa è Ellie Chu, una timida studentessa che vive con il padre a Squahamish, cittadina rurale dello stato di Washington, dopo la morte della madre. Il suo dono per la scrittura le permette di racimolare qualche soldo per aiutare in casa, così scrive saggi e temi per i suoi compagni di classe; tra di loro c’è Paul, che le chiede di scrivere una lettera d’amore per la ragazza più gettonata della scuola.

Amicizia, amore, nerd, atleti, ragazze popolari, gli ingredienti della rom-com teen sembrano esserci tutti, ma l’abile mano di Alice Wu, manipola questa materia facendola sua, andando a inserire un nuovo elemento ispirato, come nel film precedente, alla sua stessa biografia, con l’intento di sfidare i tropi del young adults romance: Ellie, Cyrano in erba, è a sua volta innamorata di Aster.

L’amore ha molteplici facce, non è uno solo, normativo, bianco, eterosessuale, ci sta dicendo la regista.

L’attenzione alle tematiche LGBTQ+, soprattutto se con adolescenti protagonisti, sembra essere da qualche tempo una delle questioni più a cuore delle piattaforme e di Netflix, che non a caso dal 1 maggio scorso ospita The Half of It tra i suoi titoli, al fianco di film e serie come il classico The Breakfast Club, Sex Education, Skins o dei nostri Skam Italia, Baby e Summertime. Il merito di mettere a discorso il gender trouble, è senza dubbio un ottimo punto di partenza, nonché virtuoso spunto di riflessione da offrire ai giovani (e non solo) spettatori di questi prodotti, ma il rischio in cui è facile incorrere è quello di trovarsi davanti a un pink e queer wash modaiolo e di superficie, dalla palette cromatica coloratissima e accattivante, confezionata ad hoc.

Certo non è il caso di Alice Wu, il cui intento, come quello di alcune sue colleghe che hanno diretto opere simili, tra cui il citato Sex Education e The Miseducation of Cameron Post, è nobile, ma ciò che manca prepotentemente al film è il corpo, con la sua voce, le sue istanze e le sue pulsioni, che in adolescenza dovrebbero essere, notoriamente, irrefrenabili. Non c’è traccia dell’euforia borderline e disincantata messa in campo da Sam Levinson, né la sfacciata geografia del desiderio tracciata dal maestro del genere Gregg Araki, nessuna inquietudine esistenziale tangibile. The Half of It pur mantenendo un importante messaggio d’integrazione nell’America trumpiana xenofoba, omofoba e sessista, resta però una favola morale, un racconto di formazione che insegna ai giovani ad amare e soprattutto ad amarsi. Platonico come effettivamente si dichiara sin da principio.

La valutazione del film di Sentieri Selvaggi
3.3

Il voto al film è a cura di Simone Emiliani

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