The Infernal Machine, di Andrew Hunt

Parte come un thriller d’interni, inscritto nel corpo di Guy Pearce e affascinato dalla detection. Quando tenta l’affondo, tuttavia, la materia gli sfugge e stizzito abbandona il sistema a sé stesso.

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Gioca subito a carte scoperte, The Infernal Machine, portando in primo piano lo scontro mediale che anima le sue immagini fin dall’inizio.

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Tratto da un episodio del podcast narrativo The Truth che racconta di uno scrittore, Bruce Cogburn, costretto a uscire da una reclusione forzata per dare la caccia ad un ammiratore da cui riceve lettere minatorie e che pare conoscere un rischioso segreto del suo passato, in tutto il primo atto di The Infernal Machine pare esserci l’evidente consapevolezza di lavorare su una struttura che rinuncia al visivo per reggersi. Così Hunt riduce la messa in scena ad un fatto fisico e sonoro, ai gesti tesi e nervosi di Guy Pearce, all’irritazione che monta nella sua voce mentre registra messaggi rabbiosi nella segreteria del suo stalker, ma anche nell’intelligente uso del montaggio che improvvisamente apre squarci sul passato del protagonista e dissemina indizi sul suo destino.

Beninteso, non inventa mai davvero nulla di nuovo, The Infernal Machine, che, anzi, a tratti, pare una versione assolata di un canonico thriller Kinghiano ma il film è comunque scosso da un’affascinante euforia, tra Pearce che inscrive ogni svolta della narrazione sul suo corpo e Hunt (anche sceneggiatore) che costruisce il meccanismo narrativo con un certo gusto per la suspense, appassionato, lui per primo, di ogni svolta dell’enigma. Così The Infernal Machine sfiora il teatro, lo studio per personaggio solo e riconfigura lucidamente i suoi riferimenti, diventa un Duel appiedato e riletto da Ionesco, un giocoso tributo al Joel Schumacher più schizzato, quello di Number 23 e di Un giorno di ordinaria follia.

Il film comincia tuttavia ad affaticarsi nel momento in cui Hunt e Pearce sono costretti ad allontanarsi dal loro rifugio. Sballottato tra anonimi diner, brulle distese desertiche e penitenziari di massima sicurezza, The Infernal Machine perde la spinta iniziale e Hunt cambia repentinamente i piani. Punta al suo The Game ma non ha la mano ferma di Fincher ed il concept gli sfugge dalle mani. E così il racconto sbanda e si rifugia in un intreccio che diventa sempre più complesso ma anche impersonale, finendo per disperdersi tra spunti tutti da sviluppare, in attesa di un’idea che possa sostenere il film che tuttavia non arriva mai.

Meglio, allora, quando Hunt fa saltare davvero il tavolo, quando spinge il gioco inquieto del film fino al paradosso, vira verso i lidi delle cospirazioni da guerra fredda, si lancia in derive quasi lynchane, infila improvvisamente una scazzottata in piano sequenza poco prima della fine. Perché malgrado le linee narrative si tengano sempre più a fatica, almeno in quei momenti il film palpita, si scuote da un torpore purtroppo inevitabile.

Hunt si disamora in effetti sempre più del mondo che ha costruito, quasi fosse irritato che tutto si sia rivelato più complesso da gestire delle attese. E allora tanto vale abbandonare il giocattolo a sé stesso, lasciare indietro, soprattutto, l’affettuoso umanismo con cui è stato tratteggiato il personaggio di Bruce nella prima parte e ridurre, conseguentemente, tutta la bella riflessione tra colpa, responsabilità, identità e fede che si intravede tra le righe del racconto ad un frettoloso epilogo che non coglie il peso tematico di una questione così profonda, quasi che lo stesso Hunt volesse evadere da quella domanda, da quel “Chi sei?”, che il protagonista si pone costantemente.

 

Titolo originale: id.
Regia: Andrew Hunt
Interpreti: Guy Pearce, Alice Eve, Alex Pettyfer, Jeremy Davies, Georgia Goodman, Ana Lopes
Distribuzione: Eagle Pictures
Durata: 111′
Origine: USA, UK, Portogallo, 2022

La valutazione del film di Sentieri Selvaggi
2.5
Sending
Il voto dei lettori
4 (1 voto)
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