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The Landscape and the Fury, di Nicole Vögele

Il film mostra il confine tra la Bosnia e la Croazia, ne racconta i suoi panorami e la quotidianità di chi li popola e prova a resistere al peso della Storia . Strepitoso. In concorso al PerSo 2025

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Negli ultimi anni il cinema sembra essersi fatto carico della necessità di mostrare cosa avviene alle frontiere dell’Unione Europea, meta di flussi migratori verso paesi che difficilmente sono pronti ad accogliere chi arriva. Non più di due anni fa erano stati Matteo Garrone ed Agnieszka Holland a raccontare cosa avviene infatti ai confini del “vecchio continente”, concentrandosi l’uno sulla traversata mediterranea che conduce i migranti dalla Libia all’Italia (Io capitano) e l’altra sulla frontiera tra Polonia e Bielorussia, dove invece le persone sono usate come strumento diplomatico (Green Border). In questo panorama arriva anche The Landscape and the Fury, della svizzera Nicole Vögele, presentato in concorso all’11° PerSo.

Qui ad essere osservati sono i 932 chilometri di foreste che separano Croazia e Bosnia, inquadrati meravigliosamente, con la prospettiva tipica del racconto epico. Sullo schermo infatti si alternano piani sequenza densissimi in cui sono mostrati paesaggi talvolta mozzafiato, talvolta inquietanti, in cui a farla da padrone, prima ancora che gli esseri umani e le parole, sono i suoni della natura, capaci di costituire già da sé una storia pregna di mistero. Sembra di essere in una sorta di controcampo di Racconto di due stagioni: entrambi i film infatti sono sviluppati attorno allo scorrere dei mesi, con lo spettatore che assiste al progressivo accumularsi di neve sui panorami prima e al loro rifiorire dopo. Quando la neve però si scioglie, scopriamo di non essere nella Turchia di Nuri Bilge Ceylan: si rivelano infatti le ferite del terreno sottostante, fino ad allora celate, che caratterizzano inequivocabilmente proprio il confine tra Bosnia e Croazia. Con il passare dei minuti poi appaiono sempre più figure umane ed il film si riempie (relativamente, perché continuano a non mancare grandi porzioni di “silenzi”) di parole. Grazie a questi fattori ad emergere è la Storia, che lì ha lasciato un segno profondissimo meno di trent’anni fa, con la sanguinosa guerra fratricida che ha sconvolto i Balcani nell’indifferenza del resto del continente, ma che ancora oggi continua a svolgersi, con, neanche a dirlo, altrettanta indifferenza.

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A raccontare la Storia allora sono proprio i landscapes. Il terreno del confine è ricoperto dalle tracce di coloro che passano giorni, settimane, mesi a provare ad attraversarlo, venendo puntualmente deportati e rispediti indietro dalla polizia croata. Tra gli alberi e le rocce spuntano i loro vestiti e le loro scarpe, i loro cellulari, i loro documenti, che dagli ufficiali della frontiera gli vengono sottratti e gettati come rifiuti. E sotto quello strato superficiale c’è invece un humus costituito dai segni proprio delle guerre jugoslave. Quel conflitto è rimasto radicato, indelebile nelle menti dei suoi protagonisti, mai risolto, come dimostrano gli enormi campi minati non ancora del tutto disinnescati. Poi ci sono proprio le persone, perché The Landscape and the Fury racchiude una tragedia profondamente umana che riguarda coloro che quei luoghi li abitano. La loro quotidianità è caratterizzata dal costante incontro proprio con quelle mine da un lato, che riemergono fortuitamente nelle loro giornate (si racconta di un pastore che, cercando i funghi, si imbatte spesso in ordigni inesplosi), e con i profughi dall’altro. Ancora feriti per quello che è stato il loro recente passato, sono testimoni del dramma che adesso coinvolge altri, quei migranti a cui ogni giorno provano a dare una mano, dando il proprio contribuito per aiutarli a raggiungere la loro Terra promessa, quell’Unione Europea che puntualmente invece li tradisce respingendoli. Il film di Nicole Vögele è allora un documentario splendido, capace di una profondità, tanto di racconto quanto estetica, che di rado si incontra altrove, imperdibile per chi vuole capire cosa succede davvero e chi abita alle “nostre porte”.

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