The Light, di Tom Tykwer

Il film sembra voler condensare una miriade di discorsi, tutti presi dalle tematiche fondamentali del presente. Come una grande tag cloud. BERLINALE75. Special Gala. Film d’apertura


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Al cinema di Tom Tykwer non manca certo l’ambizione. E nelle oltre due ore e quaranta di The Light sembra voler condensare una miriade di discorsi, tutti presi dalle tematiche fondamentali del presente. Si parla di emergenza climatica e minaccia apocalittica, ci si affaccia sugli scenari geopolitici incandescenti del Medio Oriente, con il dramma dei profughi e lo sradicamento degli immigrati. E poi, ovviamente, il caos dei rapporti nella tempesta della vita quotidiana, tra adolescenti fragili e soli, battaglie femminili per l’autodeterminazione e maschi allo sbando. E ancora, psicoterapia, narcisismo, spiritualità, queerness, tecnologia, slanci umanitari e ambiguità colonialiste…

Tutto nasce dall’incontro tra due vicende. Quella, misteriosa, di Farrah, dottoressa siriana costretta a fuggire dal suo paese, dopo il fallimento della primavera araba e il complicarsi della situazione politica. E quelle degli Engels, una famiglia berlinese “super impegnata” e incasinata. Tim (Lars Eidinger) è un pubblicitario di successo, che però tiene a difendere a tutti i costi il suo spirito di “sinistra”. Milena (Nicolette Krebitz) è un’attivista umanitaria, impegnata in un complesso progetto per costruire un teatro negli slums di Nairobi. E poi i loro due figli, Frieda, che frequenta una compagnia di ragazzi, tra locali, alcool, droghe e attivismo, e Jon, che passa il tempo rinchiuso nella propria stanza a giocare in VR. Non ultimo, il piccolo Dio (!), nato da una relazione di Milena con un uomo keniano, costretto a trasferirsi a Berlino per stare insieme al figlio. Una perfetta famiglia disfunzionale, in cui nessuno è in grado di prestare attenzione agli altri. Perché, innanzitutto, non è in grado di connettersi con la parte più profonda di sé. Ma quando Farrah viene assunta come domestica dai Engels, si innesca, inevitabilmente, un processo di trasformazione per tutti.

Tom Tykwer è alla ricerca di un modo per tracciare le connessioni e tenere insieme le cose. Come in quelle lunghe sequenze di presentazione della famiglia Engels, con i vari membri che seguono i loro tortuosi percorsi, fino a ritrovarsi in casa. Ed è senz’altro accattivante il modo in cui l’impalcatura narrativa si disegna e compone attraverso la convergenza di più traiettorie di movimento all’apparenza disconnesse. Così come è indubbia la capacità di lavorare su diverse velocità, di attraversare le pratiche e gli immaginari più vari, dai momenti musical all’animazione. Si percepisce, stratificato, tutto il cammino di Tykwer, dalle fortune di Lola corre alle esperienze con le sorelle Wachowski di Sense8 e Cloud Atlas, fino a Babylon Berlin. Ma è come se tutto fosse tenuto insieme da una rete troppo fragile e, al tempo stesso, troppo soffocante. Il fascino del movimento continuo delle immagini, che trapassano da un mondo all’altro, appare quasi una dimostrazione meccanica, al di là dei pezzi di bravura. Mentre le connessioni sono forzate fino al limite, come mosse dall’esigenza di toccare tutti i termini di un’immensa tag cloud. La cui complessità si riduce nella semplificazione retorica di una serie simboli troppo evidenti e pesanti. In questa Berlino perennemente bagnata da una pioggia battente, si potrebbe forse intravedere la luce. Segno di una più piena consapevolezza e di una nuova speranza. Ma è innanzitutto il bagliore intermittente che emana da quei dischi appositamente progettati per farci tornare alle condizioni psicofisiche dei momenti fondamentali, quelli della nascita e della morte. In un oggetto, in un artefatto, si condensa il nodo del mistero. Ed è l’indice più evidente della forzatura, di come il desiderio sia diventato un obbligo, di quanto ogni spiegazione non possa che sfiorare il cuore delle cose. Nel caos di The Light, il chiarore è ancora lontano.

La valutazione del film di Sentieri Selvaggi
2.5
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