The Lost King, di Stephen Frears

La storia vera del recupero delle spoglie di Riccardo III in una nuova impeccabile incursione del regista inglese nel sottogenere “monarchia”. Grand Public.

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A un certo punto in The Lost King si sovrappongono due differenti mappe dello stesso luogo in epoche diverse. L’appassionata di Riccardo III Philippa, archeologa novella, deve mettere insieme i pezzi della storia e le sue tracce per arrivare a riesumare il corpo del Re d’Inghilterra ultimo degli York, ucciso in battaglia nel 1485 e raccontato come un villain da William Shakespeare nella famosa piéce teatrale. Eppure gli archivi, i libri e i documenti non bastano per trovare il punto giusto in cui scavare. Philippa (una Sally Hawkins come al solito capace di adattare il centro emotivo del film al suo corpo minuto e al suo volto), che per inseguire la sua ossessione ha mollato il lavoro e messo in discussione la sua vita, si affida a un presentimento, alle sue visioni del fantasma del re che la accompagnano per tutto il film. Come a dire che sono l’irrazionalità e il coraggio a sconquassare il reale e i suoi equilibri di potere (culturale, politico, sociale e accademico). Del resto per quanto assurda possa sembrare la storia dell’ultimo film diretto da Stephen Frears è realmente accaduta e lo scheletro del sovrano è stato ritrovato nel 2013 dall’Università di Leicester su iniziativa di una donna di mezza età di Edimburgo.

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Che dire di Stephen Frears, che con gli anni sembra essersi specializzato nel sottogenere monarchico made in England? Frears è Frears. Nella misura in cui non eccede di una virgola dalla sua affidabilità di narratore “trasparente” dove nessuna inquadratura o movimento di macchina sembra andar oltre la storia o il rispetto dei personaggi. Per cui il suo non è un cinema che vuol piacere per forza, ma che arriva a piacere per forza. Una lezione, come sempre. A rischio, però, di divertissment istituzionalizzato, come sempre. Bisogna scegliere se storcere il naso o lasciarsi andare a quel mestiere capace di portare a casa ogni film possibile o immaginabile (Piccoli affari sporchi, Tamara Drewe, The Program). Certo è difficile non stare dalla parte del personaggio di Sally Hawkins, nerd ossessivo-compulsiva middle class, una di noi in questo ventunesimo secolo di ricerche online e forum di appassionati e specialisti patologici. Tra loro e gli accademici arrivisti da piani alti del “nuovo” mondo il regista inglese, di sicuro, sa da che pare stare.

La valutazione del film di Sentieri Selvaggi
3.5
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Il voto dei lettori
3.5 (18 voti)
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