"The Mystic Masseur" di Ismail Merchant

Quello che manca nell'opera è la rimessa in gioco di una linea formale (la narrazione è affidata a momenti di condensazione scritta che bloccano la frammentazione del testo in nuclei sin troppi precisi e compatti) che sappia restituire un'intensità negata sin dall'inizio.

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Il cinema indiano di oggi (perlomeno quello distribuito da noi) manca di identità, ma soprattutto di cuore. Appena lo scorso anno parlavamo proprio di Lagaan, riconoscendogli un'indubbia presa spettacolare, ma al tempo stesso un'assenza preoccupante di emozione, all'insegna insomma di un cinema precotto, standardizzato su coordinate fatte apposta per l'esportazione. In The Mystic Masseur si continua a produrre uno sguardo sfuggente, irrisolto, estremamente vacuo e superficiale, nonostante via sia nel racconto un incrocio tutt'altro che disprezzabile tra ragioni ironiche e motivi drammatici. Si tratta di un passaggio, che vede protagonista il maestro di una scuola di Port of Spain, il quale alla notizia della morte del padre, decide di recarsi al suo paese natale. Il cambio di set si fa sentire, anche se Merchant si concentra essenzialmente su motivazioni all'agire mai depositate sullo spessore visivo della scena, ma sempre come nate per forza di inerzia, attraverso blocchi tematici probabilmente derivati dal testo del premio Nobel Naipaul a cui si ispira l'opera. Così, tra il lutto (quello per la morte del padre) e la gioia (vissuta dal protagonista nello sposare una donna del luogo), viene a mancare una regione intermedia che conferisca ad entrambe senso, un punto interstiziale insomma che coniughi le esigenze del racconto con la ricerca di una linea espressiva latitante. Quello che insomma manca nell'opera è la rimessa in gioco di una linea formale (la narrazione è affidata a momenti di condensazione scritta che bloccano la frammentazione del testo in nuclei sin troppi precisi e compatti) che sappia restituire un'intensità negata sin dall'inizio (non c'è mai vero pathos, nemmeno nel momento del ritorno funereo del giovane al paese). Che poi aleggi lo spettro della scrittura (questa l'attività che vorrebbe intraprendere il protagonista) e quello dello scambio di corpi/professioni (lo stesso protagonista scambiato per un infallibile guaritore), non fa che ricordarci come da un testo non troppo dissimile Guru Dutt abbia girato un certo Phyaasa (ri/visto ultimamente a Fuori Orario), che è un capolavoro assoluto proprio per il suo oltrepassare di volta in volta il genere, creando così uno sguardo libero e vergine. Quello che non riesce a Merchant, che invece annichilisce ogni passione in una messinscena gelida e scostante.

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Titolo originale: The Mystic Masseur
Regia: Ismail Merchant
Sceneggiatura: Caryl Philipps tratto da un racconto di V.S. Naipaul
Fotografia: Ernest Vincze
Montaggio: Roberto Silvi
Musiche: Zakir Hussain
Scenografia: Lucy Richardson
Costumi: Micheal O'Connor
Interpreti: Om Puri (Ramlogan), Aasif Mandvi (Ganesh), Ayesha Dharker (Leela), James Fox (Mr. Stewart), Jimi Mistry (Partap), Sakina Jaffrey (Suruy Mooma)
Produzione: Merchant-Ivory Productions, Pritesh Nandy Communications, Video Associates
Distribuzione: E. mik
Durata: 117'
Origine: India, 2003

 

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