The Narrow Road to the Deep North, di Justin Kurzel (episodi 1 e 2)
Kurzel ricerca la bellezza quasi mitologica delle divinità di questo olimpo fatto di soldati giovani e amori maturi, corpi che si scontrano in battaglia o in seduzione. BERLINALE 75 – Special Gala

Justin Kurzel affronta con questa mini-serie di cinque episodi la sfida più ambiziosa della sua parabola autoriale: il cineasta australiano dipinge infatti un affresco che, sulla scorta del romanzo omonimo di Richard Flanagan, si dilata su diversi piani temporali per fare i conti con una pagina poco ricordata della storia del suo Paese, ovvero quella dei prigionieri di guerra australiani costretti dall’esercito giapponese a lavorare in condizioni disumane alla costruzione della ferrovia Thai-Burma durante la Seconda Guerra Mondiale.
Nell’intricata struttura a flashback incrociati con cui sono costruite quantomeno le due puntate che abbiamo potuto vedere a Berlino, le sezioni dedicate alla rievocazione delle tremende giornate di prigionia sul campo nipponico sono quelle in cui ritrovi il Kurzel più “muscolare”, qui acuito esponenzialmente dalla figura di medico militare del protagonista Dorrigo: ferite purulente da suturare, malattie debilitanti, angherie su questi corpi provati dagli stenti ma ancora ostinatamente vitali, sempre seminudi in mezzo al fango e alle rocce, stretti in un cameratismo che è innanzitutto fisico, come quello che può esserci tra un gruppo di ragazzi costretti troppo presto a diventare uomini. C’è una sorta di tensione verso un ideale mitologico che avvolge queste vicende, quasi da epica greca, lo vedi innanzitutto dalla bellezza che Kurzel, alla stregua del soldato che disegna bozzetti di tutto quanto vada accadendo nel campo di prigionia, ricerca in questi giovani virgulti sotto il sole della giungla – la stessa passione da divinità dell’olimpo che questi angelici personaggi metteranno poi nelle loro focose vicende amorose prima e dopo il conflitto mondiale: you burn me, recita non a caso il poema che la rossa Amy dedica a Dorrigo quando si incontrano in libreria, pur essendo entrambi già promessi a due partner differenti.
Diventato un chirurgo di mezza età di grande fama e evidente benessere, Dorrigo è ancora perseguitato dal ricordo di quell’amore, e dai fantasmi del suo passato che riappaiono alla ricerca di un’intimità che per troppo tempo è stata solo sfiorata, suggerita, puntualmente scacciata per rispetto nei confronti di un’amicizia nata in trincea.
Kurzel è molto bravo a restituirci una girandola innanzitutto sensoriale, di amori che fanno girare la testa tra balli scatenati nei locali e bagni solo finamente innocenti al mare, tra le scogliere: quando però deve preoccuparsi dei suoi personaggi “da adulti”, sembra voler anche suggerire la direzione – sempre più evidente dopo il successo di Disclaimer, un prodotto per certi versi non troppo lontano da The Narrow Road to the Deep North – di una serialità che riscopra gli amori tra personaggi (e spettatori?) “maturi” (e ricchi!), un territorio per decenni lasciato praticamente solo alle soap e a certa letteratura “sentimentale”.
Scrive l’abituale collaboratore di Kurzel, Shaun Grant; le musiche sono dell’altrettanto fidato Jed Kurzel però forse si poteva pensare a un commento meno didascalico: Ciarán Hinds si porta negli occhi tutto il dolore di una vita in cui ha dovuto tenere insieme la vocazione a salvare gli altri nella sua professione con la tendenza a non riuscire invece a salvare sé stesso dagli errori e dalle cadute, ma è chiaro che gli occhi di chi guarda sono soprattutto per la luminosa compagine giovane, Jacob Elordi che pare riuscire a vivere solo nel passato dei protagonisti delle storie in cui recita, e l’ammaliante Odessa Young, che Kurzel si porta dietro dal precedente The Order.