The New Year that Never Came, di Bogdan Mureşanu

Un ottimo film che racconta in modo corale un paese sull’orlo della rivoluzione, e di come possa nascere e svilupparsi una coscienza critica. VENEZIA81. Orizzonti

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Il 17 dicembre 1989 è una data cruciale per la Romania. È il giorno che a Timisoara è stato comandato all’esercito di aprire il fuoco sulla folla inerme che gridava slogan come “Pane e libertà”. Attorno a quel momento, che getta una luce macabra sulle rivoluzioni di velluto in atto in quegli anni nei territori dell’Est Europa, Bogdan Mureşanu costruisce un racconto corale. Tesse una tela di personaggi molto fitta, e con il passare dei minuti ci introduce nelle loro case o nei posti di lavoro. C’è l’attrice che per salvare la sua carriera è costretta ad intonare il canto natalizio patriottico, e vorrebbe soltanto imbottirsi di Valium, lo studente che vuole fuggire attraversando il confine nuotando nel Danubio, la donna che non riesce ad accettare la demolizione della casa dove vive da sempre, in un’area destinata a nuovi nuclei abitativi statali. Sono alcuni, non tutti, dei protagonisti di questa storia, fatta di talpe, leccaculi, codardi e soprattutto di gente comune, sottoposta a sorveglianza coatta, con la manipolazione dell’informazione, il controllo della posta e delle linee telefoniche. Tutte operazioni messe in atto dalla Securitate per assicurare il dittatore Ceausescu, lo zio Nicu, da ogni tipo di oppositore.

Scarseggia il cibo, la situazione è difficile e di grande fermento, quello descritto è un mondo agli sgoccioli. Siamo alla fine dell’esperienza socialista, ed il paese è in procinto di cadere nella brace del consumismo, così racconta Radu Jude nel suo ultimo lavoro di assemblaggio presentato a Locarno, Eight Postcards from Utopia, una raccolta di materiale pubblicitario televisivo. L’attimo prima, l’oggetto del film, è quello della paura della delazione, di nervi provati, della tortura fisiche e psicogiche, dei ricatti. Eppure, senza censura, e senza nascondere niente, il tono del film non cade mai in un tono drammatico, anzi trova più di uno spunto di commedia. L’intenzione è esplorare un’enorme linea grigia, quella che conteneva gran parte della popolazione ridotta al silenzio vuoi per collusione o soltanto dalla pavidità, guardare oltre la cortina omertosa, lontano da occhi ed orecchie indiscrete, in quegli spazi dove il sentire diventa sincero. Rinascono la fiducia ed il coraggio di rischiare, gli operai decidono di ribellarsi, le famiglie riuniscono le proprie forze dopo un istante di sospetto e si creano delle coscienze critiche. Bogdan Mureşanu trova nel suo terzo lungometraggio un ottimo equilibrio tra le parti superando le difficoltà della narrazione polifonica, lasciando alla Storia il compito di fare da trait d’union. E riesce ad agganciarsi all’attualità attraverso la tematica della manomissione, trucchi ed artifici ormai regola del contemporaneo, con la realtà sabotata dalla falsificazione per ottenere un’eterno presente, come ci ricorda Harmony Korine nel suo nuovo gioco multimediale, Baby Invasion, che ci mostra la voragine in cui siamo caduti.

La valutazione del film di Sentieri Selvaggi
4
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Il voto dei lettori
3.67 (3 voti)
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