The Nun – La vocazione del male, di Corin Hardy

Nonostante le premesse di un incipit promettente, The Nun si riduce ai soliti trucchetti per far saltare sulla poltrona, secondo la consueta logica del jumpscare, ormai unica garanzia di successo

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All’interno del panorama horror contemporaneo, James Wan sembra non riuscire ancora ad imprimere la stessa efficacia della sua attività registica al suo ruolo di produttore e tycoon di un immaginario che comincia a puzzare di chiuso, nonostante i risultati al botteghino siano ancora incontrovertibilmente dalla sua parte (e pure questo The Nun – La vocazione del male non fa eccezione, considerando gli strepitosi incassi oltreoceano). Perché al di là della capacità di intercettare l’interesse del pubblico dei giovanissimi – risultato comunque non da poco e affatto scontato – questo cinema di possessioni e spaventi e case infestate è ancora fermo alle apparenze, senza domandarsi o indagare cosa effettivamente ci sia dietro/dentro la Storia di quelle possessioni e spaventi e case infestate (si guardi cosa fa a tal proposito il cinema attualissimo di un Mike Flanagan, per fare un esempio).

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Dopo i due capitoli di The Conjuring e i due prequel sulla bambola Annabelle, ecco allora lo spin-off dedicato all’inquietante figura del demone Valak travestito da suora, introdotto in The Conjuring – Il caso Enfield (a conti fatti il migliore del ciclo, appunto perché il meno esplicitamente horror, con aperture quasi da melodramma), a dimostrazione del successo di un franchise che non sembra intenzionato a fermarsi. Lo sguardo è ancora una volta rivolto al passato, più precisamente alla Romania del 1952, in un convento dove il suicidio di una suora ha suscitato l’interesse del Vaticano al punto da mandarvi in missione investigativa un prete specialista di fatti paranormali e una novizia in attesa di prendere i voti, mentre su tutti grava la minaccia di una presenza demoniaca ancestrale. Sulla carta l’idea non era neanche male, sfruttare cioè alcuni tópoi classici del genere per costruire un horror prettamente visivo, vicino a quelle atmosfere capaci di rifarsi quantomeno a un ideale di bellezza: per ritrovare la poesia del mostruoso e del sense of wonder che da sempre è nel DNA dell’horror, anche quando questo è slegato da qualsiasi lettura della realtà in chiave sociale.

E invece, nonostante le premesse suggerite da un incipit promettente, The Nun – La vocazione del male si riduce ai soliti trucchetti per far saltare sulla poltrona, secondo la consueta logica del jumpscare che ormai sembra l’unica garanzia di successo per il genere, ma che di questo passo ne decreterà la fine. Corin Hardy, che aveva dimostrato un notevole talento visivo nel discreto The Hallow, omaggia esplicitamente Paura nella città dei morti viventi di Lucio Fulci (l’impiccagione iniziale con la suora al posto del prete, la sequenza della sepoltura prematura) e cerca come può di rendere minimamente interessanti i luoghi del film – il convento, i sotterranei, il cimitero – che in altre occasioni e in altre mani sarebbero stati i veri protagonisti: ma alla fine il solo motivo di interesse è la fotografia del sempre notevole Maxime Alexandre, l’unico ad aver capito come mettere in scena i colori, le nebbie e le sfumature del gotico. Emblematico, infine, come nel 2018 si avverta ancora la necessità di un comprimario (in questo caso il “Francese”) dalla battuta facile…

Titolo originale: The Nun

Regia: Corin Hardy

Interpreti: Taissa Farmiga, Demián Bichir, Charlotte Hope, Jonas Bloquet, Ingrid Bisu, Bonnie Aarons, Gabrielle Downey.

Distribuzione: Warner Bros. Italia

Durata: 96′

Origine: USA 2018

 

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