The Only Girl in the Orchestra, di Molly O’Brien
Premio Oscar 2025 come miglior cortometraggio documentario, racconta della contrabbassista che per prima ottenne un posto nell’orchestra filarmonica di New York composta da tutti uomini. Su Netflix

The Only Girl in the Orchestra è un breve film biografico che a fatica nasconde le sue sfumature affettuose e partecipate. Forse perché l’occhio che racconta è quello della regista Molly O’Brien, nipote della protagonista Orin O’Brien. Contrabbassista pioneristica che nel 1966 ottenne di diventare la prima donna nell’organico dell’orchestra filarmonica di New York, colmando un assenza totale di genere che durava da oltre un secolo. Ora in pensione all’età di 87 anni, rivive la sua vita di musicista attraverso l’occhio di sua nipote.
Per quanto il cortometraggio si inserisca di diritto nelle fila del genere biografico, non manca di scavare nel profondo di un’esperienza di vita che ha avuto più di una battaglia da affrontare, aprendo il discorso a molte tematiche. L’esperienza di Orin O’Brien è stata dolce e amara, di successi e disagi. Come più volte sottolinea la donna non ama essere definita artista, ma di fatto – e su questo insiste anche lo sguardo silenzioso di Molly – la donna è una grande artista, e vive della doppia faccia che la medaglia dell’arte è. Soprattutto quando sei una donna. Diventare la prima donna assunta a tempo pieno della New York Philharmonic non è solo una conquista, ma anche una porta verso un periodo di sofferenza e disagio. Orin O’Brien si ritrova suo malgrado sotto i riflettori per il semplice fatto di essere una musicista donna. Vittima di una discriminazione inversa che esalta la donna solo in quanto donna. La cronaca finì per parlare esclusivamente della differenza tra lei e gli altri musicisti, tutti uomini, della sua presenza distraente in orchestra, all’atteggiamento nei suoi confronti degli uomini durante le tournée.
Orin O’Brien partiva già con atteggiamento diffidente verso le luci della ribalta, forse per contrasto al suo essere figlia d’arte – i suoi genitori erano i due famosissimi attori Marguerite Churchill (The Big Trail) e George O’Brien (Aurora) e finire per essere al centro dell’attenzione, in più per i motivi sbagliati, la spinge in un vortice di disagio. L’unica salvezza? La musica. L’altra faccia della medaglia, che Orin vive come un vestito cucitole addosso. Ed è la parte del racconto che Molly O’Brien affronta con semplicità, linguaggio diretto e senza fronzoli, nascondendo egregiamente nel montaggio alcune intuizioni interessanti, come quella di tenere costantemente un tappeto musicale lungo tutta la durata del cortometraggio: che sia musica diegetica – prove su un palco, lezioni di musica – o extradiegetica, la musica è perennemente presente all’orecchio dello spettatore, così come nella vita di Orin O’Brien, che vive con grave intensità il suo rapporto con essa.
Giusti anche i momenti che Molly O’Brian sceglie per restituirci il ritratto della donna che è Orin: il trasloco da una casa fatiscente, il caos nelle stanze dove Orin tiene le sue appassionate lezioni di musica private, la sofferenza nel vedere il suo pianoforte centenario smontato sotto i colpi di martello per poter essere trasportato. Tutto racconta il distacco di Orin dal mondo materiale esterno, e l’attaccamento alla musica, mondo onirico interno. Due facce della stessa artista e della stessa vita.