The Pirates: il tesoro reale, di Kim Jeong-hoon

Alla ricostruzione storica della vita di un equipaggio predilige lo spirito anacronistico de I pirati dei Caraibi. Intrattiene, ma perde presto la rotta verso la drammatizzazione. Su Netflix

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Sin dal primo sguardo The Pirates: Il tesoro reale strizza l’occhio all’immaginario disneyano, dove la messa in scena delle avventure piratesche abbandona qualsiasi referenza alla realtà, in favore di un registro narrativo (ed estetico) spiccatamente sopra le righe. Alla ricostruzione storicamente fedele degli antefatti – e della vita di un equipaggio – di Master & Commander, il film predilige lo spirito anacronistico de I pirati dei Caraibi, reiterandone la struttura (sia narrativa che produttiva) oltre alle derive comico/fantastiche, in funzione di un racconto che eleva l’assurdità a sua cifra e imago significante. Ad emergere è un’operazione non propriamente atipica per il cinema coreano – il film è stato inizialmente concepito come sequel di The Pirates (Lee Suk-hoon, 2014) per poi transitare verso i lidi dello spin-off a causa delle defezioni improvvise delle star Son Ye-jin e Kim Nam-gil, che hanno richiesto un intenso processo di riscrittura – che si serve delle categorie strutturali dei blockbuster hollywoodiani, in virtù di una spettacolarizzazione diegetica della storia culturale del paese.

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Declinando, inoltre, i codici linguistici della tradizione letteraria occidentale nella Corea del 14º secolo – il film segue il percorso del bandito Woo Moo-chi (Kang Ha-neul) e il suo tentativo di appropriarsi del famigerato tesoro della prima era Joseon (1392-1298) insieme ad una stravagante ciurma di pirati– The Pirates: il tesoro reale rievoca i simbolismi delle opere di Stevenson e Verne, per contaminarli con un immaginario propriamente autoctono. Nel mettere al centro del racconto quell’insieme di figurazioni che da sempre affollano le storie sui pirati/corsari – c’è un’aggregazione sommaria di mappe, rotte da seguire, cameratismo da bordo, romance convenzionali, spadaccini stravaganti, mari in tempesta e scenari apocalittici – il film, inoltre, ricerca un dialogo costante con un puerile immaginario fiabesco, da cui non si allontana mai neanche nei suoi esiti drammatici. La cornice di un racconto intrinsecamente superficiale, che per funzionare deve necessariamente sacrificare qualsiasi parvenza di profondità sull’altare della semplicità. Una lezione di cui il film è conscio solamente in parte, dal momento che affoga lo spirito farsesco (del primo atto) nelle acque del dramma più becero (della seconda frazione). Se inizialmente The Pirates: Il tesoro reale esalta l’assurdità dei personaggi (e delle situazioni in cui agiscono) a canone paradigmatico del racconto, abbracciando con irriverente sfrontatezza l’assenza di coerenza drammatica, nel momento in cui converge verso il recupero degli antefatti storici – e, di conseguenza, verso un registro più serio – perde definitivamente il controllo del timone. E ricercando una legittimazione culturale nello sviluppo di sequenze drammatiche prive di pathos, il racconto disperde tutta la leggiadria (sia di stile, sia di tono) che lo contraddistingue, per assumere uno statuto diegetico ambiguo, dove l’anelito alla gravitas è costantemente negato dalla mancanza di qualsiasi spessore narrativo.

È solo al termine di un secondo atto claudicante, dove la discrasia di toni e registri fa da contralto ad un confuso intreccio di linee narrative, che The Pirates: Il tesoro reale riscopre il piacere della propria sfacciata superficialità, per indirizzarsi sulla via della più sfrontata banalità. Abbandonata ormai ogni pretesa di verosimiglianza sia nel dispiegamento degli eventi, che nella cornice rappresentativa – nel terzo atto un pinguino si appropria di un lingotto d’oro, mentre il protagonista sconfigge il proprio avversario con una spada irrorata di fulmini, neanche fosse il Thor coreano – il film può finalmente convergere verso quel (dichiarato) superamento della coerenza narrativa. Un andamento che libera la narrazione dalle (costrittive) maglie della significazione in vista di un racconto sfacciatamente squilibrato, meritevole di esaltare l’incoerenza contenutistica a immagine e cifra interpretativa del suo (assurdo) immaginario di riferimento.

Titolo originale: Haejeok: Doggaebi Gitbal
Regia: Kim Jeong-hoon
Interpreti: Kang Ha-neul, Han Hyo-joo, Lee Kwang-soo, Kwon Sang-woo, Chae Soo-bin, Sehun, Kim Sung-oh, Park Ji-hwan, Kim Ki-doo
Distribuzione: Netflix
Durata: 127′
Origine: Corea Del Sud, 2022

La valutazione del film di Sentieri Selvaggi
2.2
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Il voto dei lettori
1 (1 voto)
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