The Power of the Dog, di Jane Campion

Una versione affascinante ma troppo controllata del romanzo di Thomas Savage dove l’approccio della cineasta è stato quello di suggerire e, insieme, nascondere. Ottimo Jesse Plemons. Concorso.

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Erano 12 anni che Jane Campion non realizzava un film. Fatta eccezione per la serie Top of the Lake, il suo ultimo film prima di The Power of the Dog è stato Bright Star. Da Henry James (Ritratto di signora), alle figure degli scrittori Janet Frame (Un angelo alla mia tavola) e John Keats (Bright Star), il cinema di Jane Campion si confronta stavolta con il romanzo di Thomas Savage, pubblicato nel 1967 e ambientato nel Montana negli anni ’20.

I fratelli Phil (Beneditch Cumberbatch) e George (Jesse Plemons) sono completamente diversi. I primo è crudele e incute timore a tutte le persone che lo circondano. L’altro invece ha un carattere più mite e sottomesso. Quando quest’ultimo sposa la vedova Rose (Kirsten Dunst) e la porta a vivere nel ranch di famiglia assieme al figlio Peter (Kodi Smit-McPhee), Phil gli si mette contro e cerca di ostacolarli con tutte le sue forze fino a quando non riesce più a nascondere la sua vulnerabilità.

C’è ancora la terra selvaggia di Lezioni di piano. Il respiro non è più romantico ma meditativo. Lo sguardo di Jane Campion s’incanta sul paesaggio come nella bella serie Top of the Lake, ripercorre i territori del western con i campi-lunghi, le nuvole sullo sfondo, il ranch con i cavalli, la neve che cade. La natura resta il luogo, lo sfondo, la scena. Poi si agitano i fantasmi, già dalle tombe del cimitero, dalle voce-off dell’inizio di Peter (“Quando mio padre è morto, volevo solo aiutare mia madre”), dall’episodio della morte del marito di Rose. Attraversano spesso nel film, si manifestano come improvvise apparizioni come si vede già dal primo incontro di Phil che si prende gioco di Peter mentre sta servendo a tavola fino allo sguardo indiscreto nel fiume che rimette in gioco tutti gli equilibri.

Certo, è ancora un film di terra (il fango su Phil, le pelli vendute agli indiani), di demoni (Rose che beve di nascosto) dove Jane Campion cerca lo scarto con il romanzo, che è più esplicito nel mostrare la passione e la morte, ma al tempo stesso ne è così presa che non riesce a liberarsene. Non si spinge come di I segreti di Brokeback Mountain, ma non riesce neanche a mantenersi sottotraccia; ha infatti bisogno di inquadrare un libro con le illustrazioni del corpo umano per ridefinire i nuovi equilibri nei rapporti all’interno della famiglia

Suddiviso in cinque capitoli, The Power of the Dog è affascinante e controllato, proprio in linea Netflix. Rischia di cadere nelle trappole di quel compiaciuto estetismo che ha segnato una parte del cinema della regista neozelandese, ma poi rientra nella storia mostrandosi timoroso ma anche desideroso di cambiare marcia. Forse è la visione di George, interpretato dall’ottimo Jesse Plemons, a essere più vicino a quella di Jane Campion. The Power of the Dog mostra i suoi limiti nella gestione dei conflitti e delle passioni e ogni tanto rischia di cadere in modo evidente con la camminata di Peter con gli uomini che fischiano.  Cumberbatch rischia di imitare Christian Bale, Kirsten Dunst si spegne progressivamente. È un cinema che galleggia, che ha paura di andare in mare aperto, mentre è certamente più riuscito nella creazione di un’ambientazione in cui c’è dentro tutta la passione del cinema di Jane Campion. Forse pensa anche a Michael Cimino poi preferisce tornare nella strada più sicura. L’inquadratura finale dalla finestra suggerisce e nasconde. Probabilmente è stato l’approccio privilegiato della cineasta al romanzo di Savage. Chissà cosa sarebbe diventato il libro nelle mani di Paul Thomas Anderson.

La valutazione del film di Sentieri Selvaggi
3

Il voto al film è a cura di Simone Emiliani

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Il voto dei lettori
3.4 (5 voti)
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