"The rum diary", di Bruce Robinson

Johnny Depp in Rum Diary
The rum diary e la sua linearità sono distanti da Paura e delirio a Las Vegas: se ne scorgono le tracce nella ricerca compulsiva, spietata e dolorosamente consapevole di una trasformazione della realtà. Il film di Robison sembra puntare soprattutto sul carattere incredibilmente attuale di un romanzo che mostra, attraverso uno sguardo che è quasi una tabula rasa (e che ha quindi la potenza di un risveglio), la sopraffazione dei media ad opera delle lobby con tutte le sue conseguenze 

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 Paul Kemp/Hunter S. Thompson ha vent'anni. Il flusso della vita lo trascina senza quasi incontrare resistenza. Lascia silenziosamente che le cose intorno (gli) accadano, l'esperienza spesso non gli consente di fare altro. Stare a guardare. E poi pensare e (ri)prendere a scandire un mondo che appare continuamente fatto di estremi, di bianco e nero, di complessità ancora lontane, solo in parte visibili in una realtà da parrucchino, nascosta male come la calvizie del direttore del San Juan Star, per il quale il giovanissimo scrittore inizia a lavorare giunto a Porto Rico. La sceneggiatura di Bruce Robinson cerca l'immersione totale nella realtà, che sia alterata o meno: dalla scena iniziale dei manifestanti che invadono la strada in cui ha sede la redazione del giornale, ai contrasti di montaggio tra la casa di Kemp e quella di Sanderson, il faccendiere yankee che intende trasformare una incontaminata isola caraibica in un enorme resort di lusso. Fino alla costante messa in risalto della scrittura di Thompson e della sua visione della vita come qualcosa "pieno di uscite": scene di dialogo chiuse da metafore ficcanti ("Il tuo curriculum è una montagna di cazzate", dice il direttore a Kemp), illuminazioni che risuonano come schiaffi sul viso di un ventenne (la terra portoricana è l'"immagine che Dio ha del denaro", o almeno così Sanderson cerca di cooptare Kemp trascinandolo nella sua visione del mondo USAcentrica). 

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The rum diary e la sua linearità sono per molti versi estremamente distanti da Paura e delirio a Las Vegas: se ne scorgono poche tracce sulla superficie di un pavimento sporco, sul quale Johnny Depp cammina stralunato, nelle sue visioni di autodistruzione (le bottiglie di rum al posto dei birilli sbaragliati da uno strike), nella ricerca insieme compulsiva, spietata e dolorosamente consapevole di una prospettiva diversa sulla realtà, di una sua trasformazione in qualcos'altro attraverso le droghe comprate con i soldi "sporchi" offerti da Sanderson (la sessione allucinogena cui si sottopongono Kemp e la sua coscienza, incarnata dall'amico fotoreporter Sala). Droghe consumate nel buio suggestivo di una stanza che diventa l'unico posto possibile (e non perché fuori infuria la pioggia tropicale).

Il film di Robison sembra puntare soprattutto sul carattere incredibilmente attuale di un romanzo (scritto da Kemp tra i Cinquanta e i Sessanta e pubblicato trent'anni dopo) che mostra, attraverso uno sguardo che è quasi una tabula rasa (e che ha quindi la potenza di un risveglio), la sopraffazione dei media ad opera delle lobby con tutte le sue conseguenze individuali e sociali. Conseguenze sintetizzate in un'immagine senza appello, quella dello scrittore giovane con due romanzi e mezzo e senza editore che, dovendo scrivere per soldi, finisce prima in un giornale "messo subito in ginocchio da una banca", poi nelle mani di una persona potente, destinato alla manipolazione e allo sfruttamento. Kemp sembra costretto all'ambiguità, sua unica possibilità di sopravvivenza. Un destino che può essere cambiato, a vent'anni, solo dall'odore dell'inchiostro, là dove "la fine di una storia significa l'inizio di un'altra". 

 

Titolo originale: Id.
Regia: Bruce Robinson
Interpreti: Johnny Depp, Richard Jenkins, Aaron Eckart, Michael Rispoli, Giovanni Ribisi, Amber Heard
Distribuzione: 01 Distribution
Durata: 120’
Origine: USA 2011

 

 

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