The Space In Between. Marina Abramović and Brazil, di Marco Del Fiol
Può riuscire l’operazione di un secondo docufilm con protagonista la medesima celebrity, a soli quattro anni da The Artist Is Present? In sala da oggi al 5 ottobre
Può riuscire l’operazione di un secondo docufilm con protagonista la medesima celebrity, a soli quattro anni da The Artist Is Present? Rivolgendo questa domanda agli storici dell’arte contemporanea avremmo probabilmente due risposte. La prima è: No, perché non siamo di fronte a nulla che restituisca la grandezza dell’artista. La seconda è forse sì – per chi si stia interrogando sul rapporto tra performers di lungo corso nei confronti di altri media. Oppure per chi sta scrivendo una tesi. C’è un altro fattore sui cui la distribuzione Nexo punta: Abramović ha ottenuto fama internazionale proprio in Italia, scuotendo dagli anni Settanta in poi i frequentatori di gallerie di Milano, Bologna, Napoli, e alla Biennale di Venezia. È tuttora materia di studio per molti.
Il tema del legame con il proprio dolore è ancora al centro della sfida datasi dall’autoproclamata nonna della performance art, ma il documentario di Marco Del Fiol (già autore di un lavoro su Olafur Eliasson) finisce per essere decisamente meno coinvolgente. Niente che scuota come Rhythm 0, durante la quale il corpo dell’allora ventottenne era usato e violato dai presenti, che spesso entravano in conflitto. Qui i limiti del corpo e della mente sono provocati nel corso di un viaggio compiuto da Abramović nell’amato Brasile (Abadiânia, Chapada dos Veadeiros, Vale do Amanhecer, Bahia, Chapasca Diamantina, Curitiba, Minas Gerais) alla ricerca di una qualche spiritualità che accolga la sua sofferenza (d’amore, ci informa a un certo punto), mettendosi di volta in volta in ascolto e in qualche caso più pericolosamente nelle mani di guaritori, medium, saggi, sciamani o aspiranti guide religiose che un tempo avremmo definito maghi o streghe: da chi sostituisce erbe e rimedi naturali alla medicina a chi si improvvisa medico e incide con disinvoltura i propri seguaci come se lo fosse, da chi attrae le folle presentandosi come sciamano fino a chi offre infusi purganti (ayahuasca). Il più orgogliosamente splatter tra loro ha un certo seguito anche in Italia (joaodedeusitalia.com). La protagonista vuole forse suggerire che pure i sedicenti guaritori sono dei perfomer, in quanto creatori di rituali e catalizzatori di masse? O che trattano la fede come lei tratta l’arte? Scatta facilmente il ricordo del leitmotiv “L’arte deve essere bella, l’artista deve essere bello” ripetuto in una sua performance.
Viene da chiedersi allora se il cinema non sia forse un mezzo con cui Abramović non ha (o non ancora) dimestichezza. Oltretutto, lì dove lei cerca stimoli artistici, sempre accompagnata da una curiosità genuina (o ingenua?) e da un’ingombrante troupe che non può passare inosservata, altri cercano la salvezza. Quei viaggi solo l’unica speranza. Diversamente Marina Abramovic non è mai un’ospite qualunque dei luoghi in cui si annunciano miracoli. C’è sì un Brasile sconosciuto ai più in questo lavoro, ma a meno di occuparsi di cineturismo o di accettare la definizione di spiritual thriller che la produzione propone è difficile prevedere che si attivi un rapido passaparola.
Titolo originale: The Space in Between
Regia: Marco del Fiol
Interpreti: Marina Abramovic, Dorothy W. Cooke, Narcisa Cândido da Coinceção, Itamir Damião
Distribuzione: Nexo Digital
Durata: 97′
Origine: Brasile 2016