The Thing with Feathers, di Dylan Southern
Il film con Benedict Cumberbatch investiga la psicologia di una famiglia in lutto attraverso metafore banali, senza dare vero spessore ai sentimenti dei personaggi. BERLINALE75. Berlinale Special

Uno dei temi ricorrenti della Berlinale 75 è quello delle genitorialità imperfette o difficili, con film come If I Had Legs I’d Kick You di Mary Bronstein e Mother’s Baby di Johanna Moder. Sullo stesso solco si pone l’opera di Dylan Southern, The Thing with Feathers, presentato nella sezione Berlinale Special. Tratta dal libro Il dolore è una cosa con le piume di Max Porter, racconta la storia di un padre, disegnatore di fumetti, che improvvisamente perde la moglie. Oltre al dolore per la perdita dell’amata compagna, deve occuparsi dei suoi due figli piccoli. Il film mostra un uomo distrutto, incapace di riprendersi, e affronta anche la prospettiva dei bambini. Il protagonista è un artista introverso, sempre chiuso nel suo studio, che sembra incapace di rapportarsi coì suoi figli, ma anche di occuparsi delle faccende di casa.
Benedict Cumberbatch si è ormai specializzato nei ruoli di padre disegnatore, creatore di mondi e disperato: in The Thing with Feathers interpreta praticamente lo stesso ruolo della serie Netflix Eric, solo senza l’aspetto della dipendenza. L’attore inglese è bravissimo, ma il film rimane superficiale e confuso. Dylan Southern cerca di vivisezionare il lutto mostrandolo da più prospettive e creando metafore attraverso personaggi di finzione (le piume di cui si parla nel titolo appartengono a un enorme corvo). Tuttavia, un tema così umano e caldo può davvero essere analizzato in modo così distaccato?
Il regista tenta una ricerca stilistica, con scene vorticose di combattimento e sequenze al parco immerse nella neve, che conferiscono un certo fascino visivo all’opera. Tuttavia, non riesce a costruire un’estetica precisa, perché sperimenta più soluzioni senza operare una scelta definita. Anche se è interessante come l’opera affronti il lutto dal punto di vista di bambini così piccoli, un argomento complesso, sfaccettato e poco trattato nel cinema. Vengono in mente Il mio piccolo genio, il lutto superato attraverso la fantasia in Il labirinto del fauno e, a tratti, Paradiso amaro. Il padre artista diventa pretesto per parlare dell’uso dell’arte come terapia, come possibilità di espressione e guarigione dal lutto.
Rimangono la buona prova attoriale di Benedict Cumberbatch e dei giovani attori Richard Boxall e Henry Boxall, oltre a una colonna sonora particolarmente rilevante, curata dal cantante degli Arcade Fire, Richard Reed Parry. Non a caso Dylan Southern proviene dal mondo del videoclip.