The Unforgivable, di Nora Fingscheidt

Tutto il peso è su Sandra Bullock, anche produttrice, che però non riesce a sosenerlo e dopo un po’ molla in un film che sbaglia i tempi del racconto e smarrisce i ruoli secondari. Netflix

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Dopo una dramma familiare, tutti i luoghi possono diventare un inferno. Anche la libertà dopo il carcere. Sandra Bullock si carica addosso tutti i demoni del personaggio. Sguardo basso, spalle curve, paura di parlare. Dopo The Blind Side, si potrebbe pensare ancora a un’altra esercitazione da Oscar per l’attrice (anche produttrice), come quella di Charlize Theron in Monster dove si era appositamente imbruttita. The Unforgivable lascia tutto il peso del film a Sandra Bullock che però non lo sostiene, non gli fa mai cambiare marcia e, dopo la marcata caratterizzazione (soprattutto fisica) iniziale, si adagia su un plot tanto confuso quanto scontato.

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Ruth ha trascorso 20 anni in prigione con l’accusa di omicidio di un poliziotto. Una volta libera, cerca di mettersi rintracciare la sorellina Katherine, per cui è stata come una madre, che all’epoca della tragedia aveva 5 anni. Lì fuori però il mondo è ancora peggio che in carcere. Le gridano “sei un ammazza poliziotti” e fa un’enorme fatica a reinserirsi nella società. La famiglia adottiva di Katherine, a cui ha scritto moltissime lettere che non hanno avuto risposta durante la sua detenzione, fa muro contro muro. In più i figli dell’agente ucciso gliela vogliono far pagare. Ruth cerca solo la verità. Cerca l’aiuto di un avvocato e poi, all’improvviso, trova un’inaspettata alleata.

L’America amara del film, ispirato alla miniserie britannica, The Unforgiven, del 2009 del 2009 è molto appannata. Ci sono tracce delle atmosfere di quei drammi familiari del cinema statunitense degli anni ’80, tra James Foley e Richard Pearce ma ad essere statica è proprio la regia della cineasta tedesca Nora Fingsscheidt, al suo primo film di produzione statunitense dopo il precedente lungometraggio Systemsprenger (2019), un’altra vicenda di disperazione al femminile, in quel caso attraverso gli occhi di una bambina di nove anni. Lo schema narrativo non riserva mai sorprese a cominciare dal legame della casa della tragedia dove anche i personaggi che ora vivono lì, l’avvocato interpretato da Vincent D’Onofrio con la moglie Viola Davis, sono ingabbiati in una scrittura che gli nega ogni variazione nei loro comportamenti. Il loro è un po’ il destino dei personaggi secondari, che intasano un film dove dentro ci sono troppe storie mai adeguatamente sviluppate (a cominciare dai figlio del poliziotto) e soffocato dai continui flashback. La rabbia resta solo in qualche frammento. Ma non appare mai dirompente, ma solo episodica. Non bastano immagini allo specchio o un pestaggio nella fabbrica di confezionamento di salmoni. La tensione del film era proprio nella scarsa possibilità di Ruth di cercare il perdono e raccontare il suo punto di vista. Ma è proprio questione di tempi, troppo dilatati, anzi sballati. Se fossero stati gli stessi in una serie tv, si mollava dopo il primo episodio.

 

Titolo originale: id.
Regia: Nora Fingscheidt
Interpreti: Sandra Bullock, Viola Davis, Vincent D’Onofrio, Jon Bernthal, Linda Emond, Aisling Franciosi, Rob Morgan
Distribuzione: Netflix
Durata: 112′
Origine: USA, 2021

La valutazione del film di Sentieri Selvaggi
1.8
Sending
Il voto dei lettori
3.2 (10 voti)
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