The Wall of Shadows, di Eliza Kubarska
La regia si mescola felicemente e si muove con il ritmo del popolo Sherpa, che da secoli abita le montagne più alte del pianeta e vive in simbiosi con la natura più estrema. Da oggi in sala.
Per guadagnare i soldi necessari all’istruzione del figlio, una famiglia di Sherpa infrange un tabù e affronta una delle montagne più sacre: la parete est del Kumbhakarna mai scalata prima. Quando viene avvicinata da un gruppo di scalatori, per accompagnarli in un trekking fino alla parete est del Kumbhakarna in Nepal, si trova di fronte a un dilemma. La vetta, considerata più impegnativa del Monte Everest, nella religione locale del Kirant, è considerata una montagna sacra che non deve essere scalata. Il padre vuole guadagnare con la spedizione il denaro necessario all’educazione del figlio. La madre, invece, è contraria alla scalata ma, per rendere possibile il sogno del figlio di diventare medico, alla fine accetta di guidare i tre stranieri sulla montagna.
La regista segue la spedizione e mostra come la famiglia faccia fronte alle condizioni estreme e al proprio credo religioso per rendere possibile la salita. Gli dei del Kumbhakarna perdoneranno gli Sherpa per la loro insolenza? Eliza Kubarska, alpinista esperta, cattura immagini mozzafiato del maestoso mondo alpino, richiamando l’attenzione sulla dimensione spirituale della natura e dell’ambiente. “… che impari ad accettare i tuoi limiti. Se lo fai ti lascio andare sano e salvo… e libero di trovare la tua strada”. Questo sembra rispondere la maestosa montagna ai suoi “dissacratori”.
The Wall of Shadows è un altro film che racconta di una scalata epica. Altre storie simili sono passate sul grande schermo negli ultimi tempi come il recente The Naked Mountain di Alex Txikon, giunto sulla cima del Nanga Parbat, tra le 14 vette oltre gli ottomila del pianeta. Stavolta la regia si mescola felicemente e si muove con il ritmo del popolo Sherpa, che da secoli abita queste montagne ed è stato il primo a raggiungere la cima dell’ Everest, il tetto del mondo. Adesso il suo lavoro consiste nell’attrezzare i pendii della montagna per facilitare la scalata agli intrepidi escursionisti occidentali. Camminare, da quando sono scesi dagli alberi, per gli Sherpa, resta una delle loro attività principali. È un gesto ancestrale, si impara d’istinto, spesso prima di parlare. Il passo è un’impronta digitale in movimento, ognuno ha la sua. Se li guardi camminare sui loro sentieri vedi l’armonia del loro movimento che segue il terreno senza sprecare una stilla di energia. Sassi, legni, radici, ciò che per noi è un ostacolo, per loro diventa un appoggio.
Passi corti, cadenzati, con una respirazione perfetta che non va mai in ipossia. Gli sherpa, a vederli nelle strade trafficate di Kathmandu, sembrano esili, magri, di solito piccoli. Sui sentieri di montagna, dove impiegano meno di una giornata per fare un tragitto che a un umano, per quanto sano e robusto, ne costa tre, diventano una razza superiore, anche se frequentemente sottomessa. Spesso hanno una fascia che passa sulla fronte e regge una gerla con cui portano pesi che noi non riusciamo ad alzare da terra: anche 70 chilogrammi. Muoversi là sopra significa capire a fondo la natura, intuire in anticipo ciò che sta per accadere: nuvole, vento, neve, valanghe, più si sale di quota più non si può sbagliare passo. Gli sherpa di solito non sbagliano anche perché, a differenza di molti escursionisti occidentali, sanno quando è il momento di tornare indietro, di cedere il passo a montagne che possono scrollarsi di dosso chiunque nel giro di qualche secondo. Ma oggi purtroppo però arrivano a vendersi a noi occidentali assetati di successo, di conquista.
Titolo originale: id.
Regia: Eliza Kubarska
Interpreti: Marcin Tomaszewski, Dmitry Golovchenko, Sergey Nilov, Nada Sherpa, Jomde Sherpa, Dawa Sherpa
Distribuzione: Mescalito Film
Durata: 94’
Origine: Polonia, Germania, Svizzera, 2020