"The Woman in Black", di James Watkins


Watkins raccoglie i frutti di una lunga tradizione cinematografica, giocando con essa e portando avanti il discorso, grazie allo sguardo della macchina da presa, ma, ancor di più, grazie a quello del protagonista, uno sguardo che va sempre oltre, che riesce a (intra)vedere al di là di quella cortina di nebbia e dentro le ombre più oscure. Ma nel momento in cui si riesce finalmente a rivedere la luce, si viene di nuovo inghiottiti da quel grande etereo bianco, inizio e fine di tutto.

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The Woman in BlackTradizione e rinnovamento in una storia di morte annunciata. Sin dalle primissime inquadrature, sfocate, eteree, ma al tempo stesso mortifere, The Woman in Black si riallaccia a una salda tradizione come quella dell'horror gotico, di cui la Hammer Film, casa produttrice dietro anche a questa pellicola, è stata per anni il simbolo. Il legame tra il film di Watkins e i suoi antecedenti si fa poi sempre più evidente con lo spostamento dell'azione in un piccolo paesino, scosso da misteriosi eventi, dei quali nessuno sembra voler parlare con lo “straniero” venuto dalla città, e, soprattutto, Eal Marsh House, casa gotica per eccellenza dove si gioca la vera battaglia tra vita e morte, resa iconica grazie alla fotografia e alla scenografia, riportando alla mente una miriade di altre case con finestre dietro le quali di affacciano oscure figure, arcate e scale scricchiolanti. Proprio la casa e la palude circostante, costantemente immersa in una nebbia che tutto inghiotte (e che sembra riprendere i primi fotogrammi), diventano spesso le vere protagoniste, correlativo oggettivo di una sensazione, una paura che attanaglia i personaggi della storia e con essi lo spettatore.

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Watkins, quindi, raccoglie i frutti di una lunga tradizione cinematografica, giocando con essa e portando avanti il discorso, grazie allo sguardo della macchina da presa, ma, ancor di più, grazie a quello del protagonista, uno sguardo che va sempre oltre, che riesce a (intra)vedere al di là di quella cortina di nebbia e dentro le ombre più oscure. Uno sguardo che più si va avanti con la storia, più sembra farsi doppio in maniera quasi straniante di quello della donna in nero, la morte stessa, un altro da sé che non si riesce ad accettare, ma che alla fine risulta inevitabile.

Non a caso, vista la natura del personaggio di Arthur Kipps, la cui parabola rappresenta un passo avanti nella carriera di Daniel Radcliffe. Primo film per il grande schermo dopo la saga di Harry Potter, The Woman in Black sembrerebbe del tutto rompere con il famoso maghetto. Una volontà di rinnovarsi, di dimostrare di esser capaci di far altro. Una sfida vinta. Tuttavia, a ben guardare, Arthur Kipps prosegue quella discesa in un'atmosfera sempre più cupa e sempre più adulta che già era iniziata negli ultimi capitoli della saga. Un passo ulteriore verso la maturazione, non solo nella finzione, ma anche di Radcliffe come attore. E, alla fine, la storia di Arthur è in sostanza proprio una storia di maturazione e di accettazione del proprio destino. Attraverso gli eventi di Eal Marsh, Kipps, giovane padre e vedovo, capisce il senso del dolore, il suo e quello della donna in nero, arriva a comprendere se stesso, pronto ad andare avanti. Tuttavia, l'inevitabilità della morte torna ad annebbiare lo sguardo: nel momento in cui si riesce finalmente a rivedere la luce, si viene di nuovo inghiottiti da quel grande etereo bianco, inizio e fine di tutto.

 

Titolo originale: id.

Regia: James Watkins
Interpreti: Daniel Radcliffe, Ciarán Hinds, Janet McTeer, Liz White, Roger Allam
Distribuzione: Videa Cde
Durata: 95'

Origine: UK, 2012

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