Théo et les métamorphoses, di Damien Odoul

Pirotecnico viaggio alla riscoperta dell’essenza primordiale della propria vita, il nono lungo di Odoul è un contro-romanzo di formazione a capitoli. Dal Sicilia Queer Film Fest

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Ritorno alla natura e ad una sessualità primordiale dopo la soppressione della figura paterna. Un percorso di trasformazione e autodeterminazione che passa attraverso il proprio flusso di coscienza. Damien Odoul riversa nel suo nono lungometraggio un viaggio doloroso tra elaborazione del lutto e necessità di un cambiamento radicale. Per farlo usa uno stile sperimentale in cui trovano posto visioni in soggettiva fluttuante, frammenti di fototrappole e apparizioni surreali.
Theo (Theo Kermel) un ragazzo affetto da sindrome di Down, vive nella foresta con il padre (Pierre Meunier). E’ appassionato di arti marziali e il suo mondo fantastico è popolato da animali (serpenti, volpi, cani, cerbiatti, uccellini), donne mitologiche (la donna serpente, la donna ninja) e dalla proiezione dei propri desideri sessuali. Questo mondo sotterraneo prima nascosto all’interno di una caverna primordiale, erutta come lava vulcanica dal momento della morte del genitore. L’incipit è davvero molto emozionante: seguiamo in soggettiva Theo inoltrarsi dentro una grotta mentre da fuori arrivano rumori minacciosi di crolli e smottamenti. La tecnica di ripresa trasmette l’angoscia e la claustrofobia: Theo sembra perdersi nell’oscurità ma poi trova miracolosamente una via d’uscita dal nulla di un buco nero. Inizia il suo stream of consciousness joyciano che si tramuta in una serie di immagini potenti, alcune magiche, altre surreali, altre ancora lisergiche. Non si sa mai se quello che vediamo è reale o frutto della bizzarra fantasia di un adolescente che prende contezza del proprio corpo e dei suoi desideri.

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La prima parte del film è caratterizzata dal rapporto tra Theo e suo padre: una relazione conflittuale, di attrazione/repulsione al limite con il sadomasochismo. Quando il padre decide di compiere un viaggio, Theo inizia un percorso distruttivo di tutte le cose che appartengono al genitore arrivando a bruciare anche le foto (sono in realtà le foto dei viaggi di Damien Odoul). Questo percorso di metamorfosi inizia il suo vero compimento con l’assassinio del padre ubriaco che viene strangolato e poi gettato nel fiume. Anche se il tono è prevalentemente grottesco, si nota una sensazione sottostante di turbamento, di disagio, di disperazione. La ricerca interiore passa attraverso le arti marziali, la meditazione yoga, il contatto con la natura, una sessualità sempre più dirompente (i personaggi completamente nudi si abbandonano spesso ad atti di autoerotismo) alimentata da un serpente che continua a muoversi sinuoso sul corpo di Theo. Il lato dionisiaco prende il sopravvento e la Natura amplifica sia l’intensità delle sensazioni che il desiderio di lasciarsi andare senza inibizioni. La zoofilia di Theo è un costume con la testa di volpe, poi irrompe la realtà con un gruppo di cacciatori che lasciano liberi i cani mentre Theo trova rifugio nell’oscurità del bosco che richiama il mondo sotterraneo dell’incipit. Un temporale scioglie definitivamente tutte queste tensioni esistenziali e sessuali, la Natura protegge Theo dal dovere crescere e custodisce la sua fragilità.

Presentato alla Berlinale nella sezione Panorama, diviso in diversi capitoli che sono anche tappe di un contro-romanzo di formazione, Théo et les métamorphoses è un pirotecnico viaggio alla riscoperta dell’essenza primordiale della propria vita con la consapevolezza che ogni cambiamento e trasformazione reca in sé la sua parte di sofferenza. Pur mostrando alla distanza un certo fiato corto, il film almeno nella prima parte è sostenuto dalla capacità visionaria del regista che trova nella fuga psicogena di Theo il suo perfetto completamento.

La valutazione del film di Sentieri Selvaggi
3

Il voto al film è a cura di Simone Emiliani

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Il voto dei lettori
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