This Beautiful Fantastic, di Simon Aboud

Si ridà una dimensione favolistica che richiama ad Amelie. Però manca “il favoloso mondo”. Ma il solo accenno porta a una visione nell’assenza, un sogno a occhi aperti merito del regista

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Grazie a This Beautiful Fantastic abbiamo un esempio chiaro (e che per nulla vuole nascondersi) di piccolo film dalle caratteristiche così palesi da diventare paradigmatiche.
Tutto è alla luce del sole (il sole che serve a far nascere e crescere il giardino del film): dalla struttura, coi suoi puntuali risvolti di trama, alla produzione, che si mostra volutamente leggera per essere economicamente redditizia (intrattenere senza pesare, usando pochi spazi per arredarli di teneri sentimenti). Non si hanno mai sbalzi né si vuole averne. Anzi è invece lodevole la ferma volontà di accarezzare il pubblico, tentativo riuscito grazie alla maestria del regista Simon Aboud.
Sicuramente tale completa e aperta sincerità, in un mondo ambiguo come quello delle immagini, è anche un limite, soprattutto per 
il suo essere pianificata dall’inizio. Quindi ci pare normale, alla fine, sentire una giustapposizione superficiale di elementi per far camminare la storia, senza che essi si intreccino naturalmente. Superficialità avvertibile quando la trama si ferma, magari appunto dentro il giardino per un dialogo (momento in cui forte è l’impressione che tale dialogo non si voglia mai far decollare).
Ma tale superficialità diventa arma calibrata per intrattenere il pubblico, il quale si ritrova sia nei personaggi che nella storia, e si rilassa dentro un prodotto pensato come fuga.

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Una fuga simile a quella che fa Bella dal mondo reale, chiudendosi in una classica “mansionette” londinese, il cui giardino (vero topos britannico) è da lei visto come lontana e temibile parte esterna, da cui nulla di buono può arrivare. Bella, chiusa dentro le sue ossessioni e i suoi sogni di successo, si chiude appena può, sia in camera che nel luogo di lavoro, una biblioteca dove è al sicuro dietro la protezione di scaffali di libri, rifugio da cui guardare -non vista- l’altro da sé. Giustamente però la trama aspetta il classico cambiamento del personaggio, e in questi luoghi chiusi/aperti (biblioteca e giardino) nasce l’amore che porta Bella a uscire da sé e andare incontro al mondo.
Parlando di pianificazione è interessante proprio vedere come il progetto preveda l’accenno al mondo esterno senza mai mostrarlo veramente, in modo tale da creare sia una metafora che meramente risparmiare. Dopo vari momenti (artificiali) di pioggia, vento e tempesta – propri del più classico meteo britannico – si conta di fatto una sola controllata inquadratura di un panorama londinese nel finale.

 

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Beautiful__1494410025_188.218.10.80Quindi il progetto prevede proprio fare del giardino il protagonista della storia insieme al suo più temibile antagonista, una ragazza impaurita che non sa assolutamente come prendersene cura. E il giardino è per eccellenza, nella realtà anglosassone, il luogo di relax e fuga dallo stress cittadino, infatti la maestria con cui Alfie sa gestire il proprio è frutto di decenni di esperienza.
Tale cura botanica è resa bene sicuramente 
a livello fotografico, con la volontà di usare colori molto accesi e grandangoli aperti nell’inquadrare i fiori, a ridare una dimensione favolistica che richiama esplicitamente ad Amelie. Purtroppo di Amelie manca “il favoloso mondo”, risultando anzi tenero il tentativo di accennare a qualcosa che non si può vedere (in vari punti si usa più il linguaggio che le immagini per mostrare). Ma ciò non toglie che il solo accenno porta a una visione nell’assenza, un tentativo di sogno ad occhi aperti che è un indubbio merito del regista.

Titolo originale: id.
Regia: Simon Aboud
Interpreti: Jessica Brown Findlay, Tom Wilkinson, Andrew Scott, Jeremy Irvine, Anna Chancellor, Sheila Hancock, Charlotte Asprey, Paul Blackwell
Distribuzione: Ambi Media Italia
Durata: 100′
Origine: UK, 2016

 

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