This Changes Everything, di Avi Lewis

Dal libro di Naomi Klein,unl viaggio che attraversa nove paesi per incontrare piccole comunità autoctonche affrontano l’emergenza climatica per cercare di sopravvivere. Da oggi in sala

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Bentrovati nell’era dell’Antropocene, mettevi comodi perché This Changes Everything, documentario di Avi Lewis, tratto dal libro di Naomi Klein Una rivoluzione ci salverà, si apre sul solito orso polare che galleggia su di un sottile pezzo di ghiaccio circondato dall’acqua, ma lì lo abbandona, raggirando la macabra “noia da fine del mondo”.

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Oh no, not another climate change documentary.

Siamo sinceri, la capacità empatica dell’Homo sapiens è del tutto manchevole. Infatti di fronte allo scioglimento dei ghiacciai ed il povero orso, ci si gira dall’altra parte. Allora l’attivista canadese si interroga superando Una scomoda verità, e mette in discussione l’accusa che la coscienza cerca di insonorizzare: ossia che la causa di questo sfacelo è nella natura umana. “E se invece il problema non fosse la natura umana? E nemmeno i gas serra? Se il problema fosse la storia che ci siamo raccontati negli ultimi 400 anni?”. La storia che vede il destino segnato dalla nostra irreversibile ottusità. La storia che elimina ogni speranza nel cambiamento. Da quest’interrogativo comincia il viaggio che attraversa nove paesi nel mondo, dal Canada alla Cina, dall’India fino in Grecia, per incontrare piccole comunità autoctone, contadini, pescatori, allevatori, che affrontano l’emergenza climatica in prima linea per cercare di sopravvivere. La prima tappa rappresenta l’apice di questo modus cogitandi secondo il quale la terra sarebbe una macchina da sfruttare a servizio dell’uomo: un incontro scientifico della Royal Society in cui si è discusso sulla possibilità di “iniettare” sostanze chimiche nella stratosfera per abbassare la temperatura del nostro pianeta. Un tentativo folle per cercare nuovamente di tamponare e nascondere la responsabilità dei sistemi economici che agevolano la vera causa del surriscaldamento globale. La crisi climatica descritta dalla Klein vede infatti scontrarsi il titano capitalismo contro la madre terra, evidenziando come le multinazionali e le imprese private abbiano creato di fatto l’economia globale sulla base dei loro interessi. Il lavoro investigativo di Lewis che stringe l’obiettivo sulla noncuranza degli “ultimi” (operai ed ingegneri impiegati nelle foreste dell’Alberta, violentate per ricavare petrolio) fino alla battaglia di Sompeta contro le centrali elettriche a carbone, mostra il lato umano della questione in tutte le sue sfaccettature.  Al di là di ogni retorica, mentre Naomi Klein confronta il modello(fagocitante) di crescita occidentale con l’ecologismo dei più poveri, la regia di Lewis realizza il suo Ultimatum alla Terra mescolando immagini di disastri naturali con sfilate, manifestazioni e rivolte, invitandoci ad un nuovo confronto tra l’uomo e la natura. Nonostante il suo tentativo di umanizzazione perpetrato per contrastare l’aggravata indifferenza sulla questione funzioni, dal punto di vista cinematografico sembra non poggiare su alcun afflato, rimanendo visivamente ancorato a formalismi standardizzati. Arrivando all’oggi, in una Parigi blindata che ospita la Conferenza delle Nazioni Unite contro i cambiamenti climatici, dove al momento sembra vigere la convinzione che “è colpa di tutti quindi di nessuno”, ci si domanda se quest’invito al buon senso avrà la meglio.

 

Titolo originale: id.
Regia: Avi Lewis
Distribuzione: Camera Distribuzioni Internazionali
Durata: 89’

Origine: Canada/Usa 2015

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