Thunder Force, di Ben Falcone
Una commedia che s’intreccia con i cinecomics macchinosa nel prologo e con poche idee nella scrittura che si affida quasi esclusivamente a Melissa McCarthy e oscura il resto. Su Netflix
Si intitola come un videogioco giapponese della Technosoft il cui primo capitolo è uscito nel 1983. E l’anno non è casuale perché Thunder Force comincia da lì, con i raggi cosmici che hanno colpito la terra e trasformato geneticamente alcuni individui, dandogli dei superpoteri. Questi però non sono come i supereroi Marvel che salvano la città dal crimine ma al contrario dei delinquenti. Vengono chiamati i miscredenti e terrorizzano la popolazione. Per esempio i genitori di Emily Stanton, genetisti specializzati, sono stati uccisi durante un loro attacco mentre si trovavano in metropolitana a Chicago nel 1988 e lei è stata cresciuta dalla nonna. A scuola Lydia diventa la sua migliore amica ma il loro legame a un certo punto si rompe. Passano molti anni ed Emily diventa dirigente di una grossa azienda e ha come unico obiettivo quello di sconfiggere i miscredenti. Lydia cerca di riallacciare il rapporto e la va a trovare nel suo laboratorio. Si siede accidentalmente su una poltrona dove le viene iniettato un siero con cui acquista deisuperpoteri. Con il passare dei giorni Lydia diventa sempre più forte. A sua volta Emily utilizza una formula che la rende invisibile. Insieme entrano in azione, si fanno chiamare le “Thunder Force” e scendono in campo per combattere il crimine. I loro nemici più agguerriti sono due miscredenti: Laser una ragazza spietata dagli occhi di ghiaccio e The King, candidato sindaco della città.
Ben Falcone, anche sceneggiatore, ricicla tutto un immaginario del cinema tratto dai fumetti, dai titoli di testa che guardano ai film Marvel alla rappresentazione del mondo del crimine dove il richiamo più esplicito potrebbe essere la versione cinematografica di Dick Tracy firmata nel 1990 da Warren Beatty. Il prologo di Thunder Force però già appare narrativamente macchinoso e anche tutta la trasformazione di Lydia, anche se ha dei momenti divertenti, dopo un po’ risulta ripetitiva. Al 14° giorno lancia una sfera da 77 Kg contro un palazzo, al 18° stende il suo coach di boxe, al 29° trascina un camion con le catene.
Come tutti gli altri quattro film diretti da Falcone (qui anche attore nei panni di Kenny, uno degli uomini della gang di The King), anche Thunder Force si affida quasi del tutto all’impeto comico della moglie Melissa McCarthy ma finisce per rendere monotona la sua performance piuttosto che valorizzarla. Azzecca qualche momento come l’inserto musical nel negozio di liquori sulle note di You Belong to the City ma offusca Octavia Spencer che non è neanche la spalla della protagonista ma ha una funzione che somiglia a quello di una comprimaria pur dividendo spesso le inquadrature con lei. Il problema più evidente nel film è proprio nella scrittura. Finito lo stand-up della McCarthy restano solo gags di terza mano come quella del taser che non funziona o il burro sulle braccia dell’uomo-granchio Jason Bateman durante una cena romantica al ristorante. Un vero cattivo in realtà c’è ed è Bobby Cannavale. Ma anche lui dopo un po’ è costretto ad adeguarsi.
Titolo originale: id.
Regia: Ben Falcone
Interpreti: Melissa McCarthy, Octavia Spencer, Jason Bateman, Bobby Cannavale, Melissa Ponzio, Pom Klementieff, Melissa Leo, Ben Falcone, Kevin Dunn, Taylor Mosby
Distribuzione: Netflix
Durata: 106′
Origine: USA, 2021
La valutazione del film di Sentieri Selvaggi
Il voto al film è a cura di Simone Emiliani