"Ti do i miei occhi", di Iciar Bollain

La Bollain ritaglia sullo sfondo di un set abissale e trasparente sagome e colori, inferni e oblii dell'anima, intrecciando senza sosta muscoli e lacrime, sesso e sopraffazione, mutando però di volta in volta il colore delle accensioni e scolpendo un melò rarefatto e infuocato che taglia trasversalmente gran parte del cinema europeo di oggi.

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Lo sguardo di Iciar Bollain scotta. Non ha contegno, misura, ordine, non conosce calcolo che tenga. Brucia i corpi, amandoli in modo forsennato e violento, e ci brucia, nel chiarore indistinto di un cinema che arriva all'assoluto partendo dalla cronaca di un fatto. In Ti do i miei occhi si avverte subito la potenza fantasmatica di tracce di vita che deflagrano in un apparente silenzio. La scena iniziale con la fuga della protagonista Pilar, le sue mani che accudiscono il figlio Juan, l'inverno spagnolo che ricopre con un manto freddo e intimo le membra gelate di un passato funestato dalla violenza del marito Antonio, e poi il segno della rinascita custodito dalla sorella e dalla madre della donna che osservano, scrutano, pregano… Già in questi primi squarci di mondo la Bollain strappa l'universalità del racconto annidandola nei rigagnoli intimi e dolorosi di una individualità spezzata, facendo del cinema un fatto troppo personale e necessario per essere spiegato o raccontato. Sì, c'è un corpo martirizzato, una dimensione domestica andata in frantumi, l'alito di vita pressante e violento di un uomo che reclama il corpo della donna amata, i suoi occhi; la fisicità impressionante di questo universo atomizzato è racchiusa nel bisbiglio dolente e quasi timido di occhi offerti e mai restituiti. Sono quelli di Pilar che si ostina a vivere nella doppia dimensione di un presente negato, quelli di Antonio che reclamano bagliori emozionali mai sopiti, quelli della Bollain infine che squadra la messinscena azzerando ogni pretesa stilistica e ogni tipo di farfugliamento visivo. Il suo cinema si vede senza occhi, lo si immagina affidandosi alle ombre, lo si sente nella pudicizia fragile e risoluta di un canto di morte che ha il coraggio della vita e dell'unione delirante degli opposti. Pilar scappa da Antonio è vero, ma non può fare a meno di continuare a fare l'amore con lui, di immaginare la felicità quando la felicità è già lì, riposta nel ritmo convulso di due cuori asincroni, eppure stranamente uniti, straziati da diversi modi di percepire il tempo. In questo senso la Bollain ritaglia sullo sfondo di un set abissale e trasparente sagome e colori, inferni e oblii dell'anima, intrecciando senza sosta muscoli e lacrime, sesso e sopraffazione, mutando però di volta in volta il colore delle accensioni e scolpendo un melò rarefatto e infuocato che taglia trasversalmente gran parte del cinema europeo di oggi, ma non solo. Ti do i miei occhi non è un'invocazione, né un gemito, ma l'arsura di un occhio (la scena finale) che non si basta più. Esige un mondo, un corpo da toccare, un respiro da sentire, un sogno da rifare.

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Titolo originale: Te doy mis ojos


Regia: Iciar Bollain


Sceneggiatura: Iciar Bollain, Alicia Luna


Fotografia: Carles Gusi


Montaggio: Angel Hernandez Zoido


Musiche: Alberto Iglesias


Scenografia: Victor Molero


Costumi: Estibazliz Markiegi


Interpreti: Laia Marull (Pilar), Luis Tosar (Antonio), Candela Pena (Antonia), Rosa Maria Sardà (Aurora), Kiti Manver (Rosa), Sergi Calleja (Terapista), Elizabeth Gelabert (Lola)


Produzione: La Iguana e Alta Produccion


Distribuzione: Lucky Red


Durata: 106'


Origine: Spagna, 2003


 

 

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