Timor – Finché c’è morte c’è speranza, di Valerio Di Lorenzo

Un thriller metropolitano affettuoso ma incerto, come i suoi protagonisti, sulla sua identità profonda, e che forse ama troppo i suoi personaggi per volerli metterli (e mettersi) davvero alla prova.

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Al secondo film, Valerio Di Lorenzo continua la sua silenziosa ricognizione tra i maestri. E così se l’esordio Quid si muoveva tra il Neorealismo delle periferie e lo Scorsese delle origini, quella di Timor – Finché c’è morte c’è speranza è una storia che pare abbracciare gli sguardi dei cineasti americani più notturni.

Al centro del racconto c’è infatti la folle notte di Calamaro e dei suoi quattro amici Freud, Gianmaria, Rebecca e soprattutto Jason, che qualche ora prima ha ucciso per sbaglio il proprietario del pub dove i protagonisti stavano facendo serata. Ora il corpo del malcapitato è nascosto in camera di Jason ed i ragazzi hanno solo una manciata di ore per schivare le insistenti domande della compagna dell’ucciso e, soprattutto, disfarsi del suo corpo prima dell’inevitabile arrivo della polizia.

C’è ancora Scorsese tra le immagini di Timor, forse, quello di Fuori orario, ma ci sono anche il John Landis di Tutto in una notte, i Safdie. Tutto, però, rimane allo stato di suggestione, non si getta mai nella mischia del cinema, rimane sulla superficie delle cose, come i neon di Good Time che sembrano illuminare uno scambio tra i personaggi chiusi nell’appartamento di Jason, uno spazio che, gradualmente sembra divenire la prigione perfetta del racconto. I personaggi non usciranno infatti mai da quelle quattro mura, metafora perfetta, a ben vedere, di uno script di cui Timor. Finché c’è morte c’è speranza non riuscirà mai davvero a liberarsi, guida del racconto di cui Di Lorenzo segue pedissequamente le linee, al di là di qualsiasi spunto, exploit, semplice promettente suggestione che avrebbe potuto portare il film verso strade promettenti.

E il problema non è tanto per i personaggi, guardati con affetto ma privi di una caratterizzazione davvero incisiva (salvo, forse, il Freud di Dario Benvenuto), quanto nei toni di un film incerto su cosa essere nel profondo, come i suoi protagonisti. Il racconto sembra in effetti percepire certi passaggi ma si ritrova spesso a girare a vuoto, perdendo l’occasione di rendere le svolte del racconto davvero efficaci. Quando prova a parlare il linguaggio della Rom Com lo fa con tempi troppo rapidi per essere davvero d’impatto, quando cerca di comportarsi da thriller puro rende forse la vita troppo facile ai suoi personaggi, non porta mai in primo piano un’ansia, una frenesia, uno stress, un senso di colpa che avrebbero fatto certamente bene anche alla dimensione maggiormente legata al racconto di formazione, quella che sembra interessare di più a Timor. Finché c’è morte c’è speranza, di cui il film coglie certi presupposti ma a cui manca la vera miccia per far saltare davvero in aria le dinamiche del rapporto.

Quando succede tutto è forzato, invischiato nei meccanismi del set, come un passaggio obbligato, un gioco, l’epilogo di un racconto che guarda ai suoi protagonisti forse con troppo affetto per volerli mettere davvero alla prova.

 

Regia: Valerio Di Lorenzo
Interpreti: Rocco Marazzita, Giorgio Montaldo, Francesca Olia, Valentina Vignali, Sandro Bonvissuto, Daphne Scoccia, Stefania Visconti
Distribuzione: Blooming Flowers
Durata: 86′
Origine: Italia, 2024

La valutazione del film di Sentieri Selvaggi
2.2
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Il voto dei lettori
4.5 (6 voti)
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