Tir in DVD. Intervista esclusiva ad Alberto Fasulo

“Credo che ogni storia, ogni personaggio abbia il suo ritmo, il suo tempo, i suoi colori”. In occasione dell’uscita in DVD di Tir, l’intervista inedita ad Alberto Fasulo dal Laceno d’oro 2014

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In occasione dell’uscita in DVD di Tir per Tucker Film (distribuzione CG Entertainment), pubblichiamo un’intervista inedita ad Alberto Fasulo realizzata nei giorni del Laceno d’oro 2014, in cui il regista era uno degli ospiti.

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Si può affermare che il tuo cinema, in particolare Tir, miri ad esplorare la solitudine e i limiti della resistenza umana?
Sì. L’uomo e la resistenza umana sono un argomento che mi sta molto a cuore, per questo in Tir, a partire dalla quotidianità, sono andato in profondità, fin dentro l’esperienza di Branko.

 

A differenza di Rumore bianco, Tir è più sceneggiato. Tra i due film ci sono altre differenze importanti?
Una grande differenza è che in Tir ho lavorato con un attore. Un attore che ha accettato di fare un percorso di ricerca e preparazione. Mentre in Rumore bianco, dove sono solamente rimasto in ascolto e mi sono messo a servizio di una realtà, non c’è nessun tipo di mio intervento attoriale e neanche di messa in scena, in Tir, per prima cosa, c’è stata una ricerca lunga tre anni, perché potessi capire quale realtà stavo indagando, poi dopo, con Branko, ho cercato di rivivere questa realtà filmandola. Credo che queste siano due grandi differenze. Poi, per me fare film significa sempre raccontare con la camera, significa sempre trovarmi di fronte ad una realtà. In Tir ci sono stati momenti che Branko non capiva e non sapeva se stavo filmando, è questo il mio modo di stare di fronte alla realtà del film.

 

Pensi che la docu-fiction sia la formula più giusta per raccontare i nostri giorni, in particolare l’immobilità e la speranza, due istanze che dominano i nostri tempi? O si tratta di uno strumento espressivo come tanti altri?
Essendo composta da due parole in antitesi, non credo sia la parola giusta per incasellare tutto. Penso che Tir sia un film sulla realtà, sia cinema del reale. Qualcuno mi ha detto che si tratta di neo-neorealismo, e allora ho pensato che più avanti sarà neo-neo-neorealismo. Credo che Tir sia semplicemente un film che lavora sulla realtà, questo grazie anche alle camere che oggi possiamo avere. Con la Nouvelle Vague, il cambiamento e lo stravolgimento hanno portato comunque la tecnica e quindi il racconto, credo che film come Tir o Sacro GRA siano semplicemente una nuova forma e un nuovo stile adottati da autori che cercano di raccontare le storie che gli stanno a cuore. In Tir ho voluto e dovuto lavorare con un attore dentro la realtà non per vezzo, ma per non mettere a repentaglio il personaggio che avevo seguito per tre anni. Filmandolo l’avrei messo a repentaglio rispetto all’azienda di trasporto, rispetto alla sua famiglia e alla sua esistenza. Con Tir ho scelto di correre dei rischi, ma ho preferito esser io a sbagliare, piuttosto che far rischiare qualcuno che avrebbe comunque poi dovuto continuare con la sua vita, con il suo lavoro.

 

rumore biancoIl letto del fiume di Rumore bianco e la cabina di un Tir sono spazi circoscritti dove tu racconti la fisicità per renderla al meglio…
Come lavoro? Lavoro interrogandomi su cosa sto raccontando, in Rumore bianco avevo una convinzione, continuavo a dirmi che facevo un film sul nulla e quindi questo nulla andava trovato, non bisognava avere paura di affrontarlo. In Tir, invece, ero dentro una camera iperbarica, con un grande attore che aveva accettato questa sfida, e mi dicevo che fin quando non avessi sentito di aver indagato qualsiasi aspetto della sua esistenza, non avrei potuto mollare. Continuavo a ripetermi che non stavo filmando ciò che sto vedevo, ma che volevo filmare quello che c’è dietro. Forse per questo il primo piano di Branko ad è una delle maggiori inquadrature del film.

 

La mancanza della musica in Tir è una scelta forte, quasi a non voler indurre forzatamente l’emozione nello spettatore e creare invece un’empatia molto naturale. Non rincorrere, insomma, la realtà, ma piuttosto incontrarla.
Il motivo per cui faccio film non è per emozionare le persone, ma è per farle pensare. Dopo aver visionato una versione del film, il distributore mi ha chiesto di lavorare con un compositore e io ci ho provato. Quando ho visto il film con le musiche mi sono reso conto che era un grande tradimento, sentivo di deviare il giusto rapporto con il personaggio e con il film in quella realtà. Credo che lo spettatore debba avere un rapporto di uno a uno con quello che vede e la musica molte volte, specie su Tir, esalta invece la distanza. Il mio spettatore ideale non è una persona che ha bisogno di emozioni. In Tir potevo anche girare incidenti, parlare di prostitute, giocare insomma di cliché con lo scopo di emozionare. Ma non era questo ad interessarmi, volevo raccontare l’universalità di una storia e la dimensione umana doveva essere rispettata.

 

TirLa primordialità percettiva di Rumore bianco, che fa venire in mente Herzog, e la tipicità on the road di Tir. Linguaggio filmico e racconto sociale si sposano perfettamente nel tuo cinema, quindi anche una certa forma estetizzante e una ricerca sperimentale di altissimo livello. E’ questo il tuo cammino narrativo per il futuro?
Non ho idee cementizzate, non m’innamoro delle estetiche. M’innamoro invece di contesti e storie e dentro queste storie c’è un’estetica che mi sembra quella giusta per raccontarle. Non voglio fare lo stesso film negli anni, credo che ogni storia, ogni personaggio abbia il suo ritmo, il suo tempo, i suoi colori, una sua specificità che va trovata, capita e rispettata.

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