TITANE. Julia Ducournau racconta il suo film
Abbiamo incontrato a Roma la regista del film Palma d’Oro 2021, in arrivo nelle sale italiane e in anteprima da oggi al Cinema Troisi
Lei, Julia Ducournau, entra come una star e per chi la ricorda sin da piccola è una sensazione strana. È sempre stata star da quando veniva al mare in Puglia, a Corato, perché con la sua altezza, forse più di 1,80, sovrastava non solo le donne ma anche tutti gli uomini; una sorta di personaggio anomalo che si muoveva sinuosa per strada, con una massa di capelli neri (ora biondi, più sofisticati) e un viso angelico e insidioso, con occhi profondi, sguardo intenso, lineamenti regolari e un gran sorriso. Entra in sala e il pubblico applaude. Ha capito di trovarsi in un cinema che ha riaperto dopo diversi anni, il cinema Troisi, ed ha parlato in italiano, e così instaura un rapporto più intimo con il pubblico che l’ascolta: “Ammiro il cinema Troisi – dice- la loro storia mi commuove, un cinema che si apre è sempre una festa”.
Il suo film Titane si proietta, e subito c’è grande violenza, le mani coprono gli occhi lasciando delle fessurine, per non farsi sopraffare troppo dalla paura. “Da quando faccio cinema – dice la regista successivamente intervistata – mi sono sempre molto interessata al lavoro sul corpo del personaggio e di conseguenza anche al lavoro sul corpo dello spettatore, sulle sensazioni che può provare. Ho cercato di vedere se esistono altri modi per potersi identificare con un personaggio quando non lo si ama. Il corpo, in questo film, serve per farci rimanere vicino alla protagonista che non prova emozioni, che uccide e che è in preda ad una pulsione di morte. Non posso renderla astratta altrimenti il pubblico dopo dieci minuti se ne va dalla sala; devo fare in modo che lo spettatore senta ciò che sente il personaggio. Ragione per cui do molta importanza all’aspetto organico, tanto che lo spettatore rischia di avere paura per il proprio corpo se si immedesima e si identifica con il personaggio. È un modo per mettersi al posto del personaggio principale se non lo ami: poi poco a poco c’è una trasformazione verso l’umano , se ne rimane ancora più colpiti e lo spettatore resta a guardare il film. Quindi queste reazioni che suscito sono volute, e immagino che a Cannes siano state molto sentite dalla giuria. Sono sensazioni che fanno parte del mio modo di fare cinema: il cinema deve essere una continua esperienza; abbandono completamente la struttura del racconto classica in tre atti e mostro questo viaggio verso l’umanità, con un filo conduttore che inizia sin dai miei corti”.
È un forte paradosso, il film mostruoso e violento alla ricerca dell’umanità. E quel che più colpisce è la parola amore utilizzata dalla regista che continua: “Quando ho cominciato a riflettere su Titane stavo facendo la post produzione di Raw; come mi capita spesso la post produzione è un momento in cui mi viene da riflettere e ho considerato quale fosse la storia di Raw, il racconto in prima persona dell’emancipazione di una ragazza e della presa di coscienza della propria mostruosità. Mi piaceva molto il tipo di rapporto di amor fou, nella relazione fra i due personaggi, il fatto che si fossero davvero scelti per una relazione che aveva anche un risvolto sessuale. Avevo messo da parte questo sotto-intreccio senza approfondirlo e mi sono resa conto che per me è molto difficile palare di amore. L’amore è soltanto come l’ho potuto descrivere nel film, qualcosa in divenire, non è mai uno stato fermo e mi sembra impossibile mettere delle parole sull’amore, mi sembrerebbe un modo per sminuirlo. Mi sono lanciata in questa sfida e mi son detta ‘prova a parlare di amore’ nell’accettazione totale di sé e dell’altro: ed è questo che è il film, la storia della nascita di questo amore fra due persone che non erano affatto destinate ad amarsi. Non c’è protezione tra Vincent e Alexia (i due protagonisti di Titane), ma il riconoscimento delle rispettive solitudini: così sono legati in un modo che non potevano prevedere. Non vogliono proteggersi ma proteggere più di tutto la sensazione che cercano di essere più umani insieme, vogliono proteggere il loro amore, perché è l’unica cosa che hanno”.
Dalle macerie alla rinascita. Un bambino nasce mezzo umano e mezzo metallico, frutto dell’unione fra un essere umano e una macchina: ed il bambino rimane, per continuare a vivere e a far vivere chi ne ha bisogno. Ma è anche una liaison fra vita e morte, si può dire una catena senza fine, che riguarda sia gli eventi che gli esseri umani. Lo spiega molto bene Ducournau quando parla dell’origine della sua creazione, il titanio inserito nella testa della protagonista, perché? È qualcosa che l’ha sempre disturbata, “un incubo ricorrente che ho avuto per anni, in cui facevo nascere parti di un motore, era davvero un incubo spaventoso e ogni volta che mi svegliavo pensavo, ‘mio Dio questa immagine è così disturbante’, ma non capivo il perché. Poi a furia di pensarci ho realizzato che è la collisione tra il pure act of life, cioè la nascita e il travaglio, e il metallo che è freddo e morto e pesante. Una collisione di morte e vita in una sola immagine. Una delle idee che forzatamente è diventata la base dello script di Titane. Ne ho molte altre oltre a questa, non c’è mai un’idea sola, ma volevo assolutamente fare qualcosa con questa immagine così forte e scrivendo e poi dirigendo questo script ho deciso di volere l’intreccio uomo-macchina: il metallo ritratto come più vivo dei miei veri personaggi, che sono fatti di carne e sono morti dentro.
L’immagine iniziale, il viaggio dentro il motore fino alla spinning wheel, per me rappresenta il viaggio attraverso il corpo interiore del mio personaggio: il motore è l’intestino, il very long pipe è la spina. E lo spinning wheel è il cervello; e poi ho messo dell’olio per farlo più organico e meno morto. La protagonista è morta dentro, con quel metallo nella sua testa è come se le mancasse una parte. È qui che c’è qualcosa di relativo all’umanità: le manca una parte di umanità ma poi diventa altro, c’è una trasformazione del metallo nel film. Si va da una parte nella testa che è morta e si finisce con un metallo che è vivo perché si muove; nello svolgimento del film il metallo si trasforma da materiale morto a materiale che crea vita, ed è per questo che trovo il film anche ottimistico.”
Dopo essersi aggiudicato la Palma d’Oro a Cannes 2021, Titane arriva nelle sale italiane il 1 ottobre.