Tito e gli alieni, di Paola Randi

Al netto di qualche incertezza registica o di qualche caduta di tono negli effetti visivi, questo è un film sincero e sorprendente nel panorama del cinema italiano contemporaneo.

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Ricerca degli alieni, deserto, Las Vegas, Area 51, un “professore” vedovo e due nipotini orfani che lo riportano alla vita… eccetera, eccetera. Sono premesse che pescano a mani basse dall’immaginario popolare americano quelle che Paola Randi mette insieme nel suo secondo lungometraggio (dopo Into Paradiso). Ed è un film molto interessante questo Tito e gli alieni, sia dal punto di vista strettamente cinematografico sia dal punto di vista meramente produttivo. Sì perché il cinema italiano ha estremo bisogno di film “ufo” che ribaltino le attese e le prospettive, i pregiudizi e i generi, le storie e i “set”: chi se lo poteva immaginare Valerio Mastandrea scienziato napoletano nel deserto del Nevada, inventore di un super-computer in grado di interagire (dolcemente) con gli esseri umani, in cerca di tracce di vita nello spazio e in lotta con un colonnello “cattivo” dell’esercito? Sino a quando… arrivano dall’Italia Tito e la sua grintosa sorellina e tutto cambia.

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Paola Randi non tenta mai il confronto diretto con i suoi altissimi referenti, ma li omaggia in maniera intelligente manifestando un profondo affetto per quegli umori cinematografici. Il suo film parte con atmosfere alla Wes Anderson (genitori atipici venuti a mancare, bambini intelligenti e un po’ folli che devono superare il dolore), prosegue con accensioni naif alla Michel Gondry (arrivato in Nevada dallo zio “professore” la fantasia del piccolo Tito partorisce sequenze oniriche a ripetizione che elaborano il lutto della morte del padre), per poi arrivare al cuore lucasian/spielberghiano di questo cinema (tra i segni di Star Wars e Incontri ravvicinati si gioca il rapporto con il passato, con le persone scomparse, con i nuovi amori). Un’ingenuità esibita ma mai fasulla, che riesce anche a fare un discorso non banale sull’umanizzazione dei dispositivi e sulla fantasia (del cinema) come unico grimaldello per aprire ancora la sfera dei sogni.

Certo: il film non sempre riesce ad amalgamare questi umori nelle giuste dosi, a volte si avverte una certa meccanicità negli snodi narrativi, eccedendo anche in tipiche ridondanze da indie americano anni ’00. Ma è questo il punto: il piccolo Tito rischia e attraversa territori alieni per il cinema italiano degli ultimi vent’anni, trovando la sua forza nell’amore incondizionato che manifesta  per i generi, i set, i caratteri hollywoodiani che incontrano la commedia all’italiana. E allora al netto di qualche incertezza registica o di qualche caduta di tono negli effetti visivi, noi spettatori crediamo nel dolore del professore e nella ricerca d’affetto del piccolo Tito. Crediamo in quei sentimenti e li seguiamo sino al The End… questo è ciò che conta.

 

Regia: Paola Randi

Interpreti: Valerio Mastandrea, Clémence Poésy, Luca Esposito, Chiara Stella Riccio, Gianfelice Imparato

Distribuzione: Lucky Red

Durata: 92′

Origine: Italia 2017

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