To be continued: "I Simpson – Il film", di David Silverman

Con I Simpson – Il film vincono invece due tratti base del cinema come mezzo: la spettacolarità e la popolarità. A incorniciare la riuscita della pellicola, una serie di soluzioni che moltiplicano e incrociano i livelli di fruizione – pubblico in sala, televisione, cinema – portando felicemente, continuamente, i protagonisti dentro e fuori dello schermo

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Regista, sceneggiatori e animatori hanno centrato un obiettivo basico quanto difficile: realizzare un lungometraggio che avesse davvero ragione di esistere, a fronte di una serie televisiva il cui successo non ha bisogno di presentazioni. Sarebbe stato facile, e magari comunque di effetto, limitarsi a traghettare i personaggi e le situazioni dal piccolo al grande schermo; con I Simpson – Il film vincono invece due tratti base del cinema come mezzo, la spettacolarità e la popolarità. Ecco allora una storia che richiede a gran voce spazi ampi se non illimitati – le scene della rivolta a Springfield e della sfida di Bart a bordo del suo skateboard – e sfondi suggestivi, capaci già da soli di rendere il senso della quotidianità dei consumi, della famiglia, della provincia americana. Il resto lo fa lo snodarsi della trama, che a partire dalla famigerata indolenza e stupidità del padre di famiglia Homer sviluppa una catena di eventi fuori del comune e dello spazio televisivo: dai paesaggi dell’Alaska al terribile piano che Russ Cargill, il responsabile della protezione ambientale al servizio del semi-lobotomizzato Presidente americano (Arnold Schwarzenegger!), ha in mente proprio a proposito di Springfield…

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Già, le soluzioni dei politici ai problemi della cittadinanza, o la CIA, o i media (“Sono un uomo proiettato su un grande schermo, ascoltatemi!” dice Cargill a una popolazione inferocita) sono di certo un bersaglio facile per la comicità: così come le citazioni cinefile e pop, fattori di affezione a prova di bomba per il pubblico dei Simpson, si moltiplicano nel film inchiodando lo spettatore a una raffica di risate, soprattutto nel ritmo incalzante della prima parte. La metamorfosi cinematografica genera le estremizzazioni del caso: più violenza, quasi a sfiorare i livelli degli ‘Happy Three Friends’, più riferimenti alla sfera sessuale. Ma anche – grazie alla dilatazione dei tempi – più movimenti evolutori dei personaggi, costretti a fare i conti con la propria interiorità e con i rapporti reciproci all’interno della famiglia. A incorniciare la riuscita della pellicola, una serie di soluzioni che moltiplicano e incrociano i livelli di fruizione – pubblico in sala, televisione, cinema – portando felicemente, continuamente, i protagonisti dentro e fuori dello schermo.

 

Regia: David Silverman

Distribuzione: Twentieth Century Fox

Durata: 87’

Origine: USA, 2007

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