Todo modo, di Elio Petri

Torna oggi in sala coprendo il vuoto del cinema politico di questi anni. Petri con il suo thriller politico in equilibrio tra commedia nera e grottesca, ci offre un’iperbolica metafora

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Il fuoco dell’inferno non dà luce…Il peccato degli uomini del potere è degno dell’inferno più di ogni altro.

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Don Gaetano, dai dialoghi del film

todo modo2Se c’è un’immagine che manca nel cinema italiano di oggi – tranne rare eccezioni – è il cinema esplicitamente politico. Senza attribuire a questo snobistici giudizi di valore positivo o militanti giudizi negativi, crediamo, piuttosto che sia il clima in cui ci si muove a determinare la produzione, anche se talvolta, gli autori hanno avuto e hanno ancora (si pensi alla lungimiranza profetica di Nanni Moretti) il beneficio, l’illuminazione e la grazia di presagire il futuro, saperselo immaginare e riuscire a metterlo in scena. Qualche quarantennio addietro questo è accaduto e Todo modo (1976) costituisce un esempio illustre, come illustre è il suo regista, oggi troppo facilmente dimenticato, forse perché fuori moda e quindi necessariamente fuori scena, quando invece il suo cinema non solo resta unico quanto a ispirazione, ma era in largo anticipo, connotato da una sorta di post-modernità tutta visibile in questo film ancora una volta meritoriamente rimesso in circolazione, dopo il sapiente restauro, dalla Cineteca di Bologna.

In un immaginario hotel Zafer si riuniscono i maggiorenti del partito politico di ispirazione cattolica che governa il Paese afflitto in quei giorni anche da una misteriosa epidemia che miete giornalmente vittime. Lo scopo dell’incontro è quello di svolgere gli esercizi spirituali secondo gli insegnamenti di Sant’Ignazio da Loyola, sotto la guida di don Gaetano. Ma l’occasione è proficua perché i tre giorni si trasformino in un sanguinoso processo a quella classe politica.

Todo modo si mantiene in perfetto equilibrio tra il thriller politico e la commedia nera riportando alla mente, ma con il suoTodo modo, Ingrassia carattere di fantapolitica, il grottesco buñueliano e ci voleva coraggio in quegli anni a realizzare un film del genere. Il contesto storico-politico dell’epoca era quello di una tensione estrema tra le parti sociali, imperversavano gli attentati delle organizzazioni armate sia di destra, sia di sinistra con rapimenti, agguati e processi dei tribunali del popolo; dall’altra parte si approfittava del clima per fare leva sui sentimenti di paura per ridurre diritti e limitare prerogative, con accenti di forte demonizzazione del lavoro politico svolto da chi non si riconosceva nei partiti tradizionali. Un film come Todo modo è passato sugli schermi in questo clima, due anni prima del rapimento Moro e sicuramente in uno tra i più travagliati della storia di quel decennio. Quindi un bel coraggio per Elio Petri a sfidare tutte queste resistenze per girare un film in cui il forte sapore politico non è affatto stemperato, anzi ne risulta accentuato, dall’aria di commedia nera che lo attraversa e lo pervade insieme ad una ambientazione di stampo futuribile. In realtà il cinema di Petri si era già fatto originale e quasi unico interprete in Italia con il precedente La decima vittima, pezzo quasi unico in quegli anni (ma anche nei successivi), di un cinema metaforicamente futuribile che attingeva a piene mani e quasi inconsapevolmente dai simboli di una cultura pop del tutto sommersa.todo modo3

Todo modoTodo modo è liberamente ispirato al famoso e omonimo libro di Leonardo Sciascia si fa profetico, visti gli esiti successivi del dissolvimento di quelle esperienze politiche e ciò avviene, nella realtà, così come nel film, non a causa di una mano assassina che nel film sembra solo completare il lavoro, ma a causa di una connaturata ingordigia di potere e di denaro che porterà i suoi componenti ad un cupio dissolvi che il film di Petri riesce a restituirci perfettamente, sia negli ambienti, sia nella disadorna e cupa, ma perfettamente aderente, scenografia di Dante Ferretti, sia nella partitura della storia, sia nel legame così stretto con il sacrificio come pratica dell’auto da fè (visto che si è in clima di Sant’Ignazio da Loyola), sia infine nel ritmato crescendo della vicenda che porterà al sacrificio finale. Tutto ciò senza che mai ci si senta dentro una tragedia. Todo modo è anche un ottimo esempio di cinema della claustrofobia, di quella clausura che diventa enigmatica autopunizione dettata da una catartica quanto ignota entità. Anche per questi motivi il film Elio Petri, che con mano sicura detta il ritmo della storia, assume i contorni di un dramma alla Buñuel, alla cui genialità è dovuto L’angelo sterminatore capolavoro indiscusso nel suo genere. È in questa condizione di costrizione, che assomiglia sempre di più ad un girone infernale le cui porte sembrano a portata di mano, che si consuma, lontano dagli occhi del mondo, il dissolversi del potere che si autoannienta senza processo e senza attenuanti e come in un film di Ferreri la metafora della necessità di un mutamento si fa pressante.

todo modo4La insistita, quanto necessaria coralità del racconto, fa eccezione nei personaggi di Gian Maria Volontè, il presidente, Todo modo, Volontèmisterioso, oscuro, posseduto da una insidiosa brama di potere, custode di impenetrabili segreti e votato ad un rispetto sacrificale della religione; in quello di don Gaetano un Marcello Mastroianni nel ruolo di un prete colluso con i misteri della politica; con quello di Voltrano un Ciccio Ingrassia che veste i panni del componente del partito emarginato per la sua inconfessata omosessualità e di Giacinta, una voluttuosa Mariangela Melato, moglie del presidente, smaniosa di potere e di altri indicibili desideri.

Todo modo ci offre, pur nella iperbole di una ingigantita metafora, di una parabola nera con un inevitabile finale, un quadro preciso di un mondo in cui predomina il desiderio smodato del potere, un certo senso di onnipotenza senza limiti, l’ipocrisia e l’invidia, lontano da ogni realtà e in cui l’ultimo pensiero è quello del governo della cosiddetta cosa pubblica. Eravamo nel 1976, oggi esattamente quaranta anni dopo ciascuno, dopo uno sguardo alle notizie, faccia i propri conti e forse scoprirà la straordinaria attualità di questo film che nella sua distanza temporale, ritroviamo assai vicino, se non addirittura perfettamente dentro ai nostri giorni.

 

Regia: Elio Petri

Interpreti: Gian Maria Volontè, Marcello Mastroianni, Ciccio Ingrassia, Mariangela Melato, Renato Salvatori, Franco Citti

Distribuzione: Il cinema ritrovato – Cineteca di Bologna

Durata: 125′

Origine: Italia, 1976

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