TOHorrorFF22 – Il cameraman e l’assassino, 30 anni dopo. Incontro con André Bonzel

Dalla retrospettiva F for True dedicata dal festival torinese al rapporto fra realtà e finzione nel cinema, l’incontro con uno dei registi del celebre mockumentary low budget

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Fra le intuizioni più forti del 22° TOHorror Fantastic Film Fest va annoverata la retrospettiva F for True dedicata al rapporto fra realtà e finzione nel cinema, non solamente di genere, moderno e postmoderno. Titoli più o meno noti, alcuni proprio da riscoprire, come Punishment Park (1971) di Peter Watkins, The Blair Witch Project (1999) di Daniel Myrick ed Eduardo Sànchez e Series 7: The Contenders (2001) di Daniel Minahan. Racconti che minano l’infrangibilità della parete fra verità e menzogna nonché la stabilità della loro rappresentazione.

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In questo contesto è stato presentato, a 30 anni esatti dal successo alla Semaine de la Critique e dell’uscita nelle sale, Il cameraman e l’assassino (1992) di Remy Belvaux, André Bonzel e Benoît Poelvoorde, all’epoca giovani e squattrinati compagni d’accademia con un sogno. Dall’unione di creatività e mancanza di mezzi nacque l’idea di questo finto reportage su un serial killer, parodia di una trasmissione documentaristica belga degli anni ottanta in cui la parola era lasciata direttamente ai protagonisti. Oggi il sessantunenne André Bonzel, ospite del festival che ha incontrato il pubblico prima della proiezione al Cinema Massimo, ricorda quell’esperienza con divertita nostalgia.

“In quel momento siamo stati avventati, ma avevamo capito di avere una sola occasione poter fare ciò che volevamo”, ha raccontato. Infatti, i tre amici e i loro collaboratori approfittarono dell’attrezzatura messa a disposizione dalla scuola di cinema per i cortometraggi didattici e la misero al servizio di questo progetto. “Fare un lungometraggio senza soldi è complicato – ha proseguito – ma trovammo dei trucchi per ovviare ai molti problemi”. Uno fra tutti: Il cameraman e l’assassino venne girato in bianco e nero per non mostrare i colori delle stagioni, “il passare del tempo di una lavorazione lunga e travagliata”. Inoltre, gli attori erano tutti loro amici e parenti.

La maggiore difficoltà riscontrata? “Sicuramente la parte dello stupro ci richiese più impegno perché non si trovava una ragazza disposta a farla e in più, ad un certo punto, si ruppe il tavolo che stavamo utilizzando”. Bonzel ha poi aggiunto che Poelvoorde, protagonista della pellicola e in seguito diventato un importante interprete del cinema francofono, credeva così tanto nell’impresa da aver contribuito più volte allo sviluppo del personaggio. Un’opera caustica, scioccante, precorritrice di questi nostri tempi narcisisti nonché continuamente preoccupata di riflettere un discorso sull’etica della messa in scena e il grado di partecipazione implicato nello sguardo.

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