Tom à la ferme, di Xavier Dolan

Dopo i due prestigiosi premi vinti a Cannes con Mommy e Juste la fin du monde, la distribuzione italiana sta “riscoprendo” quest’estate i primi film di Xavier Dolan: è il turno di Tom à la ferme

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Dopo i due prestigiosi premi vinti a Cannes con Mommy nel 2014 e Juste la fin du monde nel 2016, la distribuzione italiana sta “riscoprendo” quest’estate i primi film di Xavier Dolan. E allora, andiamo con ordine: dopo i vagabondaggi sentimentali di Laurence Anyways (2012), il cinema del giovanissimo regista canadese si era bloccato in una fattoria. Quella di Tom à la ferme. Un luogo isolato dove il protagonista (Tom, appunto, interpretato dallo stesso regista) si reca per assistere al funerale del suo ex fidanzato, conoscendo le inquietanti figure della madre e del fratello (Francis, un burbero allevatore di bestiame) con cui inscenare un classico gioco di specchi. La madre castratrice non deve conoscere i segreti del figlio defunto; non deve scoprire il rapporto che lo legava all’ospite inatteso; e Francis diventa lo sceneggiatore occulto che impone trame parallele e banali soffocando con violenza ogni pulsione e verità. Nascerà un rapporto ambiguo con Tom, di repulsione/attrazione, un rapporto spiacevolmente “vero”.

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E allora: nella progressione eccessivamente costruita di questo melodramma/thriller tratto dalla piece teatrale di Michael Marc Bouchard,  film (stranamente) raggelato per gli standard del regista – con echi di colta cinefila che vanno da Almodovar a Polanski, da Fassbinder a Kubrick (in più di un’occasione si avvertono consapevoli riferimenti a Shining), sino all’imprescindibile Hitchcock – si salva certamente la sincerità di fondo con cui Dolan mette a nudo ogni suo fantasma interiore trasformandolo in immagine. Detto questo, però, ci risiamo: siamo di nuovo dalle parti di un’ansia da prestazione registica che intasa lo sguardo dello spettatore con insistiti primi piani fini a se stessi, con una colonna sonora spudoratamente ispirata a Bernard Hermann che alla lunga risulta decisamente invadente, con i formati dell’inquadratura che iniziano a mutare come nel futuro Mommy. Insomma gli “urli” della forma sostituiscono i “surrurri” dell’immagine. Il suo strano divertissement di genere, allora, riesce per almeno un’ora a reggere una tensione invidiabile prima di perdersi sotto il peso delle troppe ambizioni manifeste.

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Dolan (qui al suo quarto film a soli 24 anni) dimostra per l’ennesima volta una notevole maturità nella gestione del set e degli attori, con una conoscenza sin troppo palese delle dinamiche di azione/reazione o di identificazione spettatoriale. Insomma, è innegabilmente “bravo”. Ma forse, da sempre, ha il difetto di rendersene un po’ troppo conto, e mentre nel precedente Laurence Anyways ogni palese (e a volte superflua) ridondanza registica veniva comunque bilanciata dai piccoli/grandi momenti di calore umano, in questo caso i suoi protagonisti rimangono abbastanza presto imbrigliati in schemi fissi, in “maschere” prestabilite, per non evadere (quasi) mai. Lo sperduto paesino di campagna sembra quasi un palcoscenico messo in piedi per lo “spettacolo” dello svelamento di ovvie verità: l’identità sessuale da rivendicare e illuminare per superare la violenta brutalità del conformismo. Tutto un po’ troppo manifesto, atteso, capito sin da principio. Come se in quella morte dell’amore posta prima della prima inquadratura del film e in quel funerale che tristemente lo apre (un inizio molto bello) si fosse già consumata tutta la passione che Dolan si sforza di comprimere nel suo cinema. Per poi iniziare a urlare, in ogni immagine, sino a farci diventare sordi.

 

Titolo originale: id.

Regia: Xavier Dolan

Interpreti: Xavier Dolan, Pierre-Yves Cardinal, Lise Roy

Distribuzione: Movies Inspired

Durata: 105′

Origine: Francia/Canada 2013

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