"Tomb Raider" o della sottrazione dello sguardo

Se l’avventura di Lara/Jolie ricalca, nella struttura seriale, quella dei vari episodi della saga, ciò che manca, che si mostra come assente nella visione del film è proprio la duplicità dello sguardo dello spettatore.

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Strani incontri ed intersezioni che suscitano curiosità, di visione e teoriche. Un film come "Lara Croft’s Tomb Raider" di Simon West, tratto dalla celeberrima saga-videogioco dall’omonimo titolo, si presentava prima ancora della visione come oggetto curioso, non ben definito; un film che è la messa in scena di un videogioco rivoluzionario in 3D, su cui molto si è scritto, un adventure game in cui il giocatore, letteralmente, interpreta Lara Croft, l’intrepida archeologa sui generis alla ricerca di tesori nascosti e di misteri da svelare. Come porre sullo schermo, come trasformare in forma-cinema un gioco che si presenta sì come narrativo – ogni episodio di Tomb Raider racconta, a suo modo, una storia – ma che utilizza una narrazione seriale, fatta di prove ed enigmi, ostacoli e trappole, lungo un percorso che accumula difficoltà e mosse calcolate? Ciò che affascina del gioco (perlomeno uno dei suoi elementi vincenti) è questa strana capacità di immergersi nell’universo di Lara Croft, di comandarla, guidarla e, allo stesso tempo “diventare” Lara, guardare con il suo sguardo e, allo stesso tempo, guardare, osservare anche i suoi movimenti e ciò che sta dietro e intorno a lei (il gioco non si svolge in una soggettiva completa, come Doom o Quake, ma permette di osservare le varie scene da vari punti di vista, mantenendo però sempre visibile Lara sullo schermo). Certo, ogni movimento è calcolato, ogni sguardo è guidato all’interno del percorso di gioco; la libertà di muoversi è solo una sensazione illusoria. La storia è già scritta anche se possiamo conservare l’illusione di essere noi a farla.
Il gioco è insomma uno strano esercizio dello sguardo, quasi come se il giocatore fosse allo stesso tempo spettatore ed interprete della storia, dentro e fuori quel corpo virtuale che, nel film di West, si incarna nelle forme di Angelina Jolie.
È proprio a questo punto che si colloca lo scarto tra il film e il gioco. Se l’avventura di Lara/Jolie ricalca, nella struttura seriale, quella dei vari episodi della saga (spostamenti in luoghi esotici, enigmi da risolvere, oggetti misteriosi che aprono passaggi, statue che si animano, templi, ecc..), ciò che manca, che si mostra come assente nella visione del film è proprio la duplicità dello sguardo dello spettatore. West confeziona un ibrido tra un action movie e una lunga e continua citazione di episodi del videogioco, con sequenze di mestiere (come l’assalto alla casa di Lara da parte di un gruppo di killer vestiti di nero mentre Lara, sospesa al lampadario con delle funi elastiche, fa degli esercizi ascoltando Bach) nel migliore stile degli shooters della nuova Hollywood, e tentativi di rendere in chiave narrativa gli enigmi tipici del gioco (come la sequenza nel tempio con il suo complesso meccanismo di oggetti da inserire in appositi congegni per attivare le forze misteriose a cui tutti danno la caccia). La possibilità di intervenire ci è sottratta, lo sguardo è sì partecipe in ogni momento, ma lo è passivamente, semplicemente consegnato alla visione del film che ci offre un perfetto simulacro di Lara Croft (Jolie) sottraendola però ad ogni possibilità da parte dello spettatore – per quanto, ripetiamolo, si tratta di una possibilità illusoria – di guidare i suoi movimenti, di scoprire i meccanismi nascosti, le chiavi per poter accedere ai livelli successivi.
La ripetitività e l’accumulo, trasferiti letteralmente nella dimensione del film, finiscono quindi per girare a vuoto, per rendere neutro lo sguardo pur in una media confezione hollywoodiana che non può far altro però che attestare la distanza di Lara/Jolie dal suo alter ego del gioco.
Nell’incarnarsi in un corpo, il personaggio di Lara diventa lontano, paradossalmente falso, unilaterale. Preoccupata della sua somiglianza fisica con la Lara Croft del gioco, il corpo dell’attrice Jolie si fa icona indistruttibile, non carne ma immagine intangibile. Nella scena dell’incontro onirico con il padre (Voight – il film, tra l’altro, vede insieme sullo schermo Jon Voight e Angelina Jolie, padre e figlia dai rapporti turbolenti) i due sono ripresi quasi sempre in un campo/controcampo, che li separa e li rende sempre più intangibili a se stessi e allo spettatore. Il tentativo non riesce e il film scorre tra consapevolezza di una distanza (che in fondo non fa altro che moltiplicare la distanza già in atto nel gioco) ed eccitazione sensoriale (nelle scene d’azione). Per ora i piani non si intersecano.
Tomb Raider
Titolo originale: Lara Croft: Tomb Raider
Regia: Simon West
Soggetto: Sara B. Cooper, Mike Werb, Michael Colleary dal videogioco omonimo edito dalla Core Design Ltd.
Sceneggiatura: Simon West, Patrick Massett, John Zinman
Fotografia: Peter Menzies Jr.
Montaggio: Stuart Baird, Dallas Puett, Glen Scantlebury
Musica: U2, Nine Inch Nails, J.S. Bach
Scenografia: Kirk M. Petruccelli, Sonja Klaus
Interpreti: Angelina Jolie (Lara Croft), Jon Voight (Lord Croft), Iain Glen (Manfred Powell), Noah Taylor (Bryce), Daniel Craig (Alex), Chris Berry (Hillary), Julian Rhind-Tutt (Mr. Pimms), Leslie Phillips (Wilson), Robert Phillips (Julius)
Produzione: Stuart Baird, Lawrence Gordon per Core Design Ltd., Lawrence Gordon Productions, Mutual Film Company, Paramount Pictures
Distribuzione Eagle Pictures
Durata: 100’
Origine: USA/Gran Bretagna 2001

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