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Toni, mio padre, di Anna Negri

Pur restando un atto d’amore verso il padre, diventa un film protettivo per la stessa autrice, utile a risanare ferite e a ricomporre il dissidio con il passato. VENEZIA82. Giornate degli Autori

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Toni Negri è stato molte cose: un accademico, un docente universitario, un politologo, un filosofo e uno studioso del pensiero filosofico, di Spinoza in particolare dedicando gran parte dei suoi studi all’approfondimento del suo pensiero. È stato anche un ideologo della sinistra nella quale ha militato spostando progressivamente la sua posizione politica verso un estremismo che trovava la sua derivazione in quell’estremismo operaista che vede nella repressione anche tecnologica del capitalismo una reazione verso la lotta di classe. È in questa ottica che l’ideologo Negri è stato uno dei fondatori negli anni ’60 di Potere operaio e successivamente di Autonomia operaia. Per questi suoi trascorsi il 7 aprile del 1979 è stato arrestato, insieme ad altri docenti universitari italiani che condividevano quelle posizioni, con l’accusa di essere a capo delle Brigate Rosse, che l’anno precedente, tra gli altri crimini commessi, avevano anche rapito e ucciso Aldo Moro. Da qui una lunga serie di vicende giudiziarie che hanno colpito Negri, che si è rifugiato in Francia, e in Italia fu considerato libero per avere scontato la pena solo nel 2003. Vent’anni dopo sarebbe morto a Parigi.
La regista Anna Negri, una delle figlie, coadiuvata per la fotografia da Stefano Savona, ha presentato nella sezione Giornate degli Autori Toni, mio padre. Un film sospeso tra confessioni e risentimenti, incomprensioni dette e mai dette, spiegazioni paterne e amore filiale. Un film che nell’apparente disordine della sua composizione traccia un ragionamento che a volte resta invisibile. Esiste invece un ordine delle cose interiore, non sempre visibile a cominciare dall’avvertimento allo spettatore meno informato su chi fosse questo personaggio paterno, che nel film, in una Venezia che sembra affacciarsi all’estate, gira per la città in carrozzella spinto dalla figlia.
Toni Negri è stato considerato un cattivo maestro come chi in quegli anni ha assunto, solo ideologicamente e non praticamente, posizioni estremiste, extraparlamentari e oltranziste in un pensiero di rivoluzione che accompagnò questi studiosi, Negri compreso, fino alla fine della loro vita. Ma nonostante tutto questo è stata chiara la sua presa di distanza dalle Brigate Rosse.

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© fotografia di Tonino Conti
Ma questo retroterra politico-ideologico sostenuto da un pensiero disturbante e rivoluzionario, non emerge mai, se non per brevi tratti dal film di Anna Negri. È forse il titolo fuorviante per questo lavoro di confessione diretta davanti alla macchina da presa Toni, mio padre farebbe pensare ad una riflessione su una figura paterna, ovviamente spesso assente dalla famiglia verso la quale peraltro Negri nutriva sentimenti e atteggiamenti non sempre consueti, imbarazzante se si guarda al peso del suo lavoro e al clamore che all’epoca il suo nome suscitava. Il film a guardarlo bene si sarebbe potuto intitolare “Anna, sua figlia”, restando infatti più un film su quei risentimenti taciuti o meno che la stessa autrice ha sempre avuto nei confronti del padre in quel processo di sostanziale rifiuto di quella antica storia composta di politica e filosofia, ma anche di accuse e carcere. “Avrei voluto cambiare nome” dice ad un certo punto la stessa Negri conversando animatamente con il padre, ormai anziano e il cui respiro è legato ai tubicini che portano l’ossigeno al suo naso. E il padre lì a spiegare le cose, a rispiegare l’esigenza della lotta politica. Nonostante l’alto livello culturale della famiglia, il tema del contrasto generazionale esce a tutto tondo da questo film nel quale la figlia, nonostante la vita infantile e giovanile, come lei stessa racconta, sia avvenuta in una famiglia allargata e quindi abbia avuto varie sollecitazioni che indubbiamente la hanno aiutata verso scelte più consapevoli, non ha mai compreso e perfino accettato la complessa storia paterna. Non ha mai accettato di essere stata esclusa – o quella che oggi sente come una esclusione – costantemente dal pensiero di suo padre interessato ad altre vicende. Il confronto è duro e non vi è, come è giusto, una posizione prevalente.
Poiché ogni atto mancato ha una sua ragione originaria, non è un caso che in questa ottica di risentimento e di contrapposizione tra le parti, Anna Negri abbia scelto di saltare a piè pari ogni presentazione del padre, aderendo ad un pensiero individualista e non collettivo, in contrasto con le idee paterne. Toni, mio padre, dunque, pur restando un atto d’amore verso il padre, diventa un film protettivo per la stessa autrice, utile a risanare ferite e a ricomporre il dissidio con il passato. Il cinema diventa terapia, Venezia il luogo della ricomposizione dei sentimenti verso il padre. Come già fu, sotto altri toni, per Andrea Segre con Molecole.

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La valutazione del film di Sentieri Selvaggi
3
Sending
Il voto dei lettori
3.57 (7 voti)
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