TORINO 20 – Omaggio a John Milius

Grandioso, ribelle, malinconico, riflessivo, profondamente inattuale, elegiaco e spietato, spesso scomodo, il cinema di John Milius è uno dei meno esplorati e realmente conosciuti del panorama americano degli ultimi trent'anni. La presenza più attesa al Torino Film Festival

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e regista di rara coerenza di visione fin dai suoi primissimi lavori (i copioni di Ispettore Callaghan: il caso Scorpio è tuo!, Corvo Rosso non avrai il mio scalpo e L'uomo dai sette capestri), Milius e' una figura chiave dello snodo che, nei Seventies, si verifichera' tra cinema classico e New Hollywood. Parte della generazione di giovani registi che trarranno nuove autonomie produttive e formali dalle ceneri dello Studio-system, Milius si muove in un universo tragico che è più affine agli immaginari di Cimino e Schrader che a quelli di George Lucas e Steven Spielberg, ma anche di Scorsese e Coppola. È per/con Coppola che scrive una delle sue sceneggiature più note, quella di Apocalypse Now, titolo cruciale in una filmografia in cui la meditazione sulla guerra (da cui e' ipnoticamente affascinato) è meditazione sulle origini dell'uomo e continuo scontro tra civilizzazione e wilderness.

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Dillinger, Il vento e il leone, Un mercoledì da leoni, Alba rossa (restaging del genocidio indiano nascosto dietro ad un'improbabile invasione sovietica in USA) e L'ultimo attacco sono tra i suoi film piu' noti, ma Milius è capace anche di feroci satire sul militarismo americano, come lo spielberghiano 1941Allarme a Hollywood (di cui scrisse il soggetto) e di altrettanto feroci critiche all'imperialismo, come Geronimo (sua la sceneggiatura), Addio al re e il kolossal televisivo Rough Riders. O di produrre per Paul Schrader Hardcore, semi-remake metropolitano e allucinato del suo film favorito, e il film che segna quasi tutta la sua carriera, Sentieri selvaggi di John Ford. Kurosawa è l'altro grande ispiratore del suo cinema.


Se i suoi eroi hanno nomi barbari, "antichi", come Conan, El Raisuli, Geronimo e Dillinger, il suo Hemingway è pieno di Kerouac, e al suo Conrad si mischiano le note di Jim Morrison e il surf: John Milius – e Un mercoledì da leoni, ma anche Harry Callaghan – non sarebbe possibile, e così interessante, senza le esperienze della controcultura, del Vietnam e senza la generale rivoluzione che il cinema e la società americani hanno attraversato in quel periodo.


Ed è questa complessità e contradditorietà di suggestioni, insieme all'ostinata irriducibilità con la quale il suo cinema rifiuta di "civilizzarsi", di restringersi, e di diventare ironico, che ne fanno un autore da riscoprire. Specialmente adesso.


La retrospettiva completa dei suoi film sarà accompagnata dalla pubblicazione di un volume, a cura di Giulia D'Agnolo Vallan.


I FILM


Marcello I'm so bored (USA, 1966, 35mm, 9')


Dillinger (id., 1973, 35mm, 102')


The Wind and the Lion (Il vento e il leone, USA, 1975, 35mm, 119')


Big Wednesday (Un mercoledì da leoni, USA, 1978, 35mm, 119')


Conan the Barbarian (Conan il barbaro, USA, 1981, 35mm, 129')


Red Dawn (Alba rossa, USA 1984, 35mm, 114')


Twilight Zone – Opening Day (USA, 1985, 35mm, 60')


Farewell to the King (Addio al re, USA, 1988, 35mm, 117')


Flight of the Intruder (L'ultimo attacco, USA, 1990, 35mm, 115')


Motorcycle Gang (Motorcycle Gang, USA, 1994, 35mm, 84')


Rough Riders (id., USA, 1997, 35mm, 240')


Dirty Harry di Don Siegel (Ispettore Callaghan: il caso Scorpio è tuo, USA, 1971, 35mm, 102')


Jeremiah Johnson di Sydney Pollack (Corvo rosso, non avrai il mio scalpo, USA, 1972, 35mm, 108')


The Life and Times of Judge Roy Bean di John Huston (L'uomo dai sette capestri, USA, 1972, 35mm, 120')


Hardcore di Paul Schrader (id., USA, 1979, 35mm, 109')


1941 di Steven Spielberg (1941: Allarme a Hollywood, USA, 1979, 35mm, 146')

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