TORINO 21- Il corpo desideroso di Gina Kim (Fuori Concorso – Detours)

L'artista coreana trasferitasi negli USA, sceglie la forma del diario filmato per raccontare i mesi del passaggio intercontinentale. Ma l'autobiografismo esibito sembra una forma in cui ritroviamo le stesse tematiche del suo primo lungometraggio "Invisibile Light": isolamento, anoressia, lotta per la soddisfazione dei propri desideri.

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La sottosezione (Detours) del Fuori Concorso, in cui sono raccolte opere difficilmente catalogabili in un genere, dalla durata variabile, prevede tre piccoli omaggi ad altrettanti autori di cui si proiettano più film. Tra questi c'è Gina Kim, nata in Corea nel '73 e trasferitasi negli USA dopo la laurea, di cui il TFF presenta i suoi ultimi lavori: Gina Kim's Video Diary (2002) e Invisibile Light (2003).

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Per la Kim il diario filmato non è naturale conseguenza di una vita con la videocamera, un filmar(si) spontaneo, ma una precisa scelta formale che rimane a metà tra l'esorcismo dei propri tormenti più intimi e la messa in scena di questi visti come comuni all'universo psicofisico femminile.


Gina Kim's Video Diary sotto le "spoglie" di un attraversamento spaziale e temporale dalla Corea agli Stati Uniti, di un diario intimo adolescenziale filmato in solitudine, confessione e conseguente oggettivazione dei propri fantasmi/desideri, è un percorso (cosciente) di totemizzazione del proprio corpo mentre si (s)forma dall'interno. Il ricorso al cibo per colmare le proprie mancanze, la conseguente pinguedine che si fa specchio della paura che la trasmigrazione non le eviti il "destino" dell'amata/odiata madre, l'anoressia, disegnano una trama psicologica che trasforma lo stare di fronte alla camera in percorso psicanalitico.


Il controllo della Kim sull'operazione è totale: lo spettatore è costretto da giochi di luce a scoprire le sembianze della protagonista (regista) nei tempi ben precisi (vediamo il suo viso dopo quasi due ore…), la libertà "diaristica" si trasforma spesso in estetismo con giochi di specchi e di ombra in cui la giovane coreana si/ci mostra nell'atto del filmare. E' come aprire il lucchetto del diario segreto di nostra sorella (forse dopo qualche anno che è stato scritto) e rimanere straniati dalla lettura che mentre ci apre universi sconosciuti falsifica l'immagine (fissa) consolidata ma leggendo si scopre lentamente che quelle pagine sono state scritte per noi.


Difatti il conseguente Invisibile Light, primo lungometraggio di "finzione" della Kim, abbandona il diario e si divide in due storie di donne (ancora) sole, abbandonate (come la madre di Gina nel Video Diary) dai propri uomini, marchiate dalle avventure extraconiugali. Ritorno sulla linnea USA – (in cui una studentessa coreana dopo una storia con un uomo sposato viene assalita dal senso di colpa e cade nella bulimia) – Corea (dove arriva dagli States una donna incinta dopo aver tradito il marito) con l'abbandono graduale della forma diaristica verso una più "convenzionale" ancora una volta "mostrata" e lo spostamento in avanti della "poetica del corpo" che qui "non esiste, esistono solo i suoi desideri e noi siamo fantasmi".


Il percorso artistico di Gina Kim è in piena evoluzione, lo "spettro" del formalismo non nasconde la forza autoriale della giovane coreana, né l'adesione ai temi e ai personaggi trattati. Finora i suoi film sembrano mostrare cicatrici già guarite più che sanguinanti

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