TORINO 22 – "Tanner on Tanner", di Robert Altman (Americana)

Operazione di scarto tipicamente altmaniano, politicamente scentrata perché il mondo del potere per eccellenza è utilizzato solo come disturbante pretesto per satireggiare, talvolta gustosamente, sull'amoralità registica di una non-cineasta con pretese artistiche, capace solo di "vomitare" non-cinema

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Ancora politica sugli schermi del 22° Torino Film Fest. O forse è solo cinema? Un vecchio lupo di mare (cinematografico) come Altman s'inserisce nel flusso politicheggiante che sembra pervadere la sezione "Americana" ma anche altri "habitat" del festival torinese. Il cinema polifonico di questo grande cantore dell'America ha incrociato più volte, magari anche per una manciata di attimi o poche righe di script, la politica: Anche gli uccelli uccidono, Conto alla rovescia, Kansas city, con l'imprescindibile Nashville a fare da sfolgorante perno, sono alcuni dei titoli della sua filmografia dove si mostra con maggiore evidenza questa "sfumatura" di quell'indagine sociale che è il bruciante ed elegante motore della sua poetica autoriale, la sua radice più profonda. Tanner on Tanner è un'operazione di scarto tipicamente altmaniano, politicamente scentrata perché il mondo del potere per eccellenza è utilizzato solo come disturbante pretesto per satireggiare, talvolta gustosamente, sull'amoralità registica di una non-cineasta con pretese artistiche, capace solo di "vomitare" non-cinema. Altman ritorna 16 anni dopo sulle tracce della docu-fiction focalizzata sulla campagna elettorale per giungere alla Casa Bianca di un sedicente deputato del Michigan Tanner 88, all'epoca miscela inedita di politica e finzione (ma siamo proprio sicuri che ci sia una distinzione tra i due?) e ne sposta il baricentro assieme allo stesso sceneggiatore Gary Trudeau. Il loro candidato immaginario alla presidenza dell'88, Jack Tanner (ancora Michael Murphy, Il prestanome, Manhattan, Sotto shock, Batman il ritorno nonché proprio negli Altman-politici Anche gli uccelli uccidono e Kansas city) viene seguito dalla figlia mentre si mischia agli ambienti politici vicini alla corsa presidenziale Bush-Kerry. Ed è la figlia Alex la vera protagonista, aspirante filmmaker che a 35 anni ancora campa sotto l'ala paterna, interpretata da Cynthia Nixon che, ai tempi di Tanner 88, era sconosciuta nonostante figurasse già nei credits di Amadeus di Forman, mentre ora è la celeberrima Miranda della graffiante serie tv "Sex and the city", senza contare le parti ottenute in Il rapporto Pelican, La stanza di Marvin e nel recente e acido Igby goes down. E anche i camei non mancano: 16 anni fa Jeff Daniels e Rebecca De Mornay, qui Scorsese (che sulla fiducia incoraggia Alex alla pratica filmica), Robert Redford (che, invece, la scoraggia dopo averne visto il documentario), il nume del settore Michael Moore, ma anche i "veri" politici Joe Lieberman e Mario Cuomo. E Altman pedina la sua protagonista con un distacco raggelante, distante dal suo tipico e amorevole avvolgere con la mdp i personaggi, giustificato dal fatto che Alex è un vero mostro di opportunismo e vigliaccheria, ancor più colpevole in quanto cosciente della propria incapacità autoriale ma troppo abituata a non prendere mai in mano le redini della propria esistenza, guardandosi allo specchio "senza trucco". Il sottile sense of humour e la voracità dei fitti dialoghi permangono nel cinema altmaniano, ma qui sono costretti in un'atmosfera amarissima e claustrofobica che la svolazzante macchina da presa digitale non riesce ad alleggerire, contribuendo anzi ad aumentare il nostro disorientamento.

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