TORINO 23 – "17-Sai no fukei – Cycling Chronicles" di Wakamatsu Koji (Fuori concorso)

L'ultimo film del sessantanovenne Wakamatsu è un'opera romantica, un quadro rabbioso di cime tempestose e uomini in rivolta contro la realtà di un'epoca allo sbando. Ma è anche un percorso di redenzione sofferto e sincero

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Sturm und Drang. Tempesta e impeto. E' un film romantico questo Cycling Chronicles. Nel senso storico del termine. Un film di cime tempestose e titani in rivolta. Un film in cui gli elementi naturali diventano proiezione dell'interiorità del protagonista, correlativo oggettivo del suo tormento. A sessantanove anni, Koji Wakamatsu si distacca dalla produzione che lo ha reso famoso (i suoi pinku eiga, film erotici fortemente sperimentali, come Embrione, Su su per la seconda volta vergine, Estasi degli angeli), ma prosegue nella sua fiera solitudine stilistica e si piazza alle costole, letteralmente, di un ragazzino (Emoto Tasuku) che, in pieno inverno, compie un viaggio sulla sua mountain bike. Dai flash back (e la parola flash è più adatta che mai, visto che si tratta davvero di folgorazioni, rapide immagini) capiamo che ha ucciso la madre con una mazza da baseball. E' deluso, frustrato, in preda ai sensi di colpa, ma soprattutto in balia di una rabbia irrefrenabile. Gli elementi sembrano rivoltarsi con lui. E' raro che in un film giapponese la natura venga ritratta in questo modo. Di solito il paesaggio è calmo, splendido, crudelmente indifferente alle sorti umane (prendete Dolls). Qui, invece, è aspro e ostile: il manto di neve che copre le strada non è dolce e poetico, ma è un duro ostacolo alla marcia del ragazzino, il mare è perennemente agitato, sembra ululare. E poi pareti rocciose, dirupi, stormi di gabbiani che si alzano in volo. Anche la musica è spigolosa, un rock lacerante, disperato. Il fatto è che la rabbia è di tutti. Sembra che un'intera generazione abbia smarrito il senso della gioia e della bellezza. Se Wakamatsu si concentra sul singolo, riesce a cogliere anche la realtà di un Paese e di un'epoca allo sbando (il dialogo tra i ragazzi che commentano l'escalation di matricidi è da brividi), di un mondo privo di punti di riferimento, in cui si può contare solo sulla violenza della propria volontà di vivere. I pescatori ce l'hanno col governo. Nelle parole del vecchio incontrato lungo il cammino, si legge la delusione di chi ha combattuto in guerra credendo di servire l'imperatore e si è reso conto del grave errore commesso e delle menzogne che ha dovuto subire. Ormai però non ha più l'età di riprendere in mano la propria esistenza. Il ragazzo, invece, può ancora correre… e corre sempre più forte, ignaro della fatica e degli ostacoli. Non sa bene dove stia andando. Ma va avanti. Come un pazzo. La sua ostinazione ha la follia dei martiri. Ecco, questo è il punto: il suo è un cammino di penitenza, di purificazione e redenzione. Lo si capisce a pieno quando, in una neve altissima, si sobbarca sulle spalle il peso di una vecchia con la caviglia slogata. Il ragazzo cerca la fatica, come se con essa, attraverso il sudore, possa espellere il proprio odio ed il proprio dolore. Sino al finale, in cui insieme all'urlo, per dirla alla Faulkner, viene fuori tutto il furore.

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