TORINO 24 – "Ho sempre cercato di raccontare il sesso da un punto di vista femminile": Incontro con Joe Sarno

Pionere del sexploitation, cui il festival dedica un omaggio, l'ottantacinquenne regista americano ha incontrato il pubblico insieme alla moglie e collaboratrice Peggy Steffans-Sarno e all'esperto Michael Bowen. Un occasione per riflettere sull'evoluzione del concetto di erotismo nel cinema

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GIULIA D'AGNOLO VALLAN: Vorrei iniziare chiedendo a Michael di contestualizzare il lavoro di Joe nell'epoca e nel luogo in cui tutto è iniziato

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MICHAEL BOWEN: Joe ha lavorato in un genere noto come sexploitation, nato come sottoprodotto dell'impatto che i film europei avevano avuto in America. Questi film infatti erano considerati "più franchi" perché trattavano argomenti come l'adulterio che nei film americani non erano considerati. Parliamo anche di autori come Bergman. Una piccola società di distribuzione lanciava questi film nelle sale d'essai promuovendoli però attraverso una campagna pubblicitaria che puntava quasi esclusivamente sugli aspetti sensazionalistici. In questo modo comunque le maglie della censura americana si andarono progressivamente allargando, perché questi film ottennero un grande successo commerciale: così, intorno al 1962/63 nacque il filone sexploitation, che si incentra proprio sulla sessualità e che personalmente considero differente da quello di Russ Meyer, un regista più interessato al concetto di nudità, retaggio del suo passato come fotografo di Playboy.


 


GDV: Joe, come hai iniziato a lavorare e perché hai scelto il sexploitation?


 


JOE SARNO: Ho iniziato per caso a fare film, non avevo nessuna conoscenza tecnica; alla fine degli anni Cinquanta facevo il giornalista e lo scrittore e mi vidi recapitare una lettera dove una piccola società di produzione mi chiedeva di dirigere un film didattico. Molto sorpreso ne parlai con il mio agente che mi incoraggiò ad accettare, dicendomi che avrei imparato lavorando. Alla fine il film ottenne un grande successo, me ne proposero altri, e io accettai. Scoprii dopo che avevo avuto quell'offerta perché durante la Seconda Guerra Mondiale, dove io ero pilota, un operatore mi aveva ripreso sull'aereo. Io e lui eravamo diventati amici e alla fine mi aveva accreditato nei titoli di coda come aiuto regista. E' nato tutto da questo "errore". Quando il lavoro sui film didattici iniziò  a scarseggiare un amico mi propose un film sul sesso, io temevo che accettando sarei finito in galera, ma lui mi garantì che non sarebbe successo. In realtà mi aveva chiesto soltanto di scrivere la sceneggiatura, ma il primo giorno di riprese il regista designato abbandonò e così subentrai io. Ancora una volta il film ebbe successo e me ne chiesero degli altri. Nella mia carriera ho prodotto soltanto un film, ma per il resto ho sempre lavorato a salario, le offerte non sono mai mancate.


 

MB: E' bene spiegare che lavorare nel settore industriale come aveva fatto Joe con i film didattici permetteva di acquisire sul campo un'esperienza e una capacità tecnica molto utile, all'epoca infatti le scuole di cinema non erano diffuse.


 


GDV: Ci potete descrivere l'ambiente e gli strumenti che vi offrivano per realizzare i film e come questi hanno poi determinato la loro estetica?


 


MB: Joe ha realizzato 3 film da 90 minuti l'uno con una media di 6 giorni ciascuno, sfruttando i weekend, che non erano pagati, per le prove. Nessuno pensava che si potessero realizzare film in tempi così stretti, ma lui ce l'ha fatta e senza far mancare nulla: nei suoi film ci sono movimenti di macchina, anche perché sapeva esattamente quello che voleva ottenere. Un altro aspetto interessante è che i produttori di questo tipo di film si aspettano sempre porno e nudità, mentre Joe ha considerato il suo lavoro come cinema. L'ambiente del sexploitation era pieno di gente cinica, ma Joe invece lavorava pianificando i dettagli e per questo otteneva risultati superiori alla media, che gli stessi produttori gli riconoscevano. Inoltre il suo cinema ha raccontato anche realtà poco conosciute, come le casalinghe che si prostituivano nei sobborghi per comprarsi le auto nuove, un fatto vero.


 


PEGGY STEFFANS SARNO: Joe aveva una troupe composta da un cameraman, un assistente, un microfonista, un elettricista e un attrezzista: era dunque un gruppo più grande di quelli che solitamente realizzavano questi film, inoltre usava una cinepresa Arriflex 35mm. Aveva due produttori giovani e ingenui, anche molto imbranati, una volta abbiamo consegnato loro il girato di una giornata e lo hanno fatto cadere a terra, rischiando di vanificare tutto. Noi eravamo decisamente più professionali di loro nel lavoro.


 


GDV: Possiamo parlare delle scelte stilistiche, del lavoro con le luci?


 


JS: L'illuminazione nei miei film è sempre stata molto importante, perché rendeva maggiormente l'enfasi drammatica della storia: mi interessava illuminare il viso e gli occhi che sono capaci di esprimere maggiormente le emozioni che volevo. Anche se spesso gli attori non erano molto esperti, io li guidavo per ottenere quello che avevo in mente e ciò che la scena esigeva. E' importante far capire al pubblico quello che provano gli attori e perciò nei miei film ci sono anche molti primi piani, che costano anche di più.


 

GDV: Hai detto di essere stato influenzato da Bergman e dal neorealismo.


 


JS: E' vero, ho sfruttato gli strumenti che ho colto nei lavori di quei registi, costruendo come facevano loro le scene inquadratura per inquadratura. Ovviamente Bergman e gli altri miei modelli erano superiori per capacità, ma io ho comunque tentato di seguire i loro esempi. Al contempo ho cercato però di essere indipendente e di realizzare sempre film differenti tra loro.


 


GDV: Parlateci dell'avvento dell'Hard Core, come ha cambiato il mercato?


 


JS: L'Hard Core mi ha tolto il lavoro lentamente perché i produttori hanno iniziato a interessarsi di più a questo nuovo genere e meno a quello che facevo io. A me infatti interessava lavorare sulle inquadrature, mi interessava il ritmo del film. Poiché io lavoravo per gli altri, quando l'industria è cambiata sono rimasto senza lavoro.


 


PSS: Joe in realtà ha lavorato con attori che facevano anche Hard Core e loro sono stati contenti dell'opportunità, in un mercato che li considerava come degli automi. Ma non ha mai lavorato nel genere, perché lì bisognava focalizzare l'attenzione sui dettagli anatomici, gli attori dovevano gemere in continuazione e a lui questo non piaceva, lo chiamava il "rumore del phon". Inoltre Joe si concentrava sulle figure femminili nei suoi film e sulle loro sensazioni.


 


JS: Ho sempre cercato di mostrare che le cose da un punto di vista femminile, forse è un retaggio della figura di mia madre che è stata molto importante per me, non so, o forse perché durante le mie prime esperienze sessuali le donne volevano essere parte attiva. I miei film hanno sempre una prospettiva femminile, le donne sono protagoniste e il film si incentra sulle loro sensazioni. Volevo far capire che anche alle donne piace il sesso, che anche loro hanno gli orgasmi.

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