TORINO 24 – "Nella seconda stagione di Masters of Horror, i registi hanno capito che potevano andare oltre gli stardardi tipici del genere affrontando argomenti scomodi": Incontro con Mick Garris (prima parte)

Artista sensibile e sinceramente appassionato, il creatore della serie culto si è intrattenuto con il pubblico torinese spiegando le motivazioni alla base del progetto. L'incontro è stato moderato da Giulia D'Agnolo Vallan e ha visto la partecipazione di Manlio Gomarasca, della rivista Nocturno

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MANLIO GOMARASCA: Masters of Horror ha attuato una rivoluzione nel genere, che in tv era sempre stato limitato dalla censura. In questo caso, infatti, di fronte a un cinema sempre più limitato dai divieti la tv ha fornito un campo d'azione ideale, come è stato possibile?

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MICK GARRIS: I Masters of Horror sono debitori alla vecchia serie Tales From the Crypt, che comunque aveva un tono divertito e ammiccante, un taglio da comic-book ed era composta da episodi uguali tra loro, era pur sempre il prodotto di una tv commerciale. Noi invece lavoriamo con Showtime, un network via cavo meno limitato dalla pubblicità, che però si limita a trasmettere gli episodi: la produzione è curata da una casa di produzione di DVD e quindi il network non ha voce in capitolo, siamo indipendenti. Comunque già quando avevo lavorato sulle miniserie tratte dai lavori di Stephen King avevo tentato di allargare le maglie del mostrabile, ma operando per tv commerciali ho avuto dei limiti.


 


MaGo: Presentando Valerie on the Stairs ha raccontato che il successo riscosso qui a Torino da Homecoming l'anno scorso aveva avuto risonanza in America. Vorrei che ci raccontasse nel dettaglio com'è andata e come questo ha influito sulla direzione dei nuovi episodi.


 


MiGa: Non c'è stato un vero e proprio cambiamento nella direzione, perché i registi già sapevano di avere totale libertà d'azione. E' successo che l'anno scorso qui a Torino era presente un critico del New York Times, che ha riportato l'enorme successo di Homecoming, con tanto di standing ovation e la cosa poi ha trovato spazio anche sul Los Angeles Times e su Village Voice. Quindi i registi hanno capito che potevano andare oltre gli standard tipici dell'horror affrontando anche argomenti scomodi, Joe Dante in fondo aveva fatto una critica alla politica del governo americano. D'altronde lo stesso John Landis aveva detto l'hanno scorso "Abbiamo avuto un'ora durante la quale potevamo fare quello che volevamo: io l'ho usata per fare qualcosa di sciocchino, Joe Dante l'ha usata per realizzare qualcosa di importante".


 


GIULIA D'AGNOLO VALLAN: Puoi raccontarci nel dettaglio come è avvenuto il passaggio tra le due stagioni per ogni regista?


 


MiGa: John Landis è un buon esempio di cosa è successo: l'anno scorso Deer Woman era "leggero" e in stile Un lupo mannaro americano a Londra. Stavolta invece si è partiti dal fatto che John voleva collaborare con Brent Hanley, lo sceneggiatore di Frailty che peraltro lui avrebbe dovuto dirigere. Lo script di Family comunque era molto serio, John poi l'ha fatto suo aggiungendovi la sua ironia e il suo stile. The Screwfly Solution è probabilmente la cosa più cupa che Joe Dante abbia mai fatto, non è comic-book style: l'anno scorso Homecoming aveva anche degli elementi di ironia, qui invece c'è violenza e si portano avanti tesi legate al femminismo, la progressione è evidente. Joe Dante peraltro ha lavorato con gli stessi sceneggiatori di Homecoming, Landis invece aveva scritto Deer Woman insieme al figlio Max, stavolta è partito da una sceneggiatura altrui. Dario Argento ha lavorato entrambe le volte su soggetti che avevamo elaborato noi insieme ad alcuni sceneggiatori indipendenti: Jenifer era tratto da un fumetto e quindi visivamente cercava di riprodurre lo stile della tavola disegnata, stavolta invece Pelts è violento, i colori e i tagli delle inquadrature sono in puro stile Dario Argento, grazie a Dio. John Carpenter non ha più bisogno di lavorare e nemmeno molta voglia, perché in passato è rimasto deluso dalle esperienze con gli Studios. Con Cigarette Burns si mostrava disilluso anche se si vedeva che ci metteva passione: l'episodio poi è stato uno dei più apprezzati della prima serie e quindi, quando l'abbiamo richiamato, si è presentato con il sorriso sulle labbra. Peraltro sul set non si può fumare e poiché lui non riesce a non avere una sigaretta in mano abbiamo fatto approntare una poltrona con un ventilatore per l'aria dove potesse fumare, l'atmosfera era divertente. Abbiamo anche chiamato nuovi registi e ora abbiamo 26 storie differenti tra loro.


 

MaGo: Vorrei che ci parlasse di Valerie on the Stairs e ci spiegasse anche come mai in molti episodi si abbonda anche nel sesso. Invece che "Masters of Horror" potremmo parlare di "Masters of Sex".


 


MiGa: Mi piacerebbe che fossimo "Masters of Sex" (risate). Quando un regista è libero cerca di allargare i confini imposti dal gusto corrente e questo, oltre che per la violenza, vale anche per il sesso, l'horror in fondo deve rompere i tabù. In America l'argomento è limitato da una serie di divieti che possono condizionare la circolazione dei film,e così la stagione uno è stata particolarmente piena di sesso, eravamo come bambini finalmente liberi, anche se poi girare le scene d'amore è una cosa molto noiosa, bisogna pensare a come renderle interessanti. Il sesso, come la religione, è qualcosa legato all'inconscio, è profondamente radicato in noi e durante la crescita scatena anche molte paure: non a caso le storie di lupi mannari sono spesso viste come metafore del passaggio dall'adolescenza all'età adulta, con tutti i cambiamenti fisici che ne conseguono. Nel mio precedente episodio Chocolate c'è una scena in cui il protagonista "vive" l'esperienza di provare quello che una donna sente mentre fa l'amore con un altro uomo, è un momento che a molti ha procurato disagio, il che è una reazione positiva. Alcuni fans "puri e duri" però hanno odiato l'episodio perché era lontano dalla loro concezione di horror e così, con Valerie on the Stairs, pur partendo sempre da una storia d'amore, ho virato più verso l'horror mitologico, con il demone Othakay che rappresenta un elemento dell'inconscio, e lo stile è anche più visivo. E' stato complesso trovare gli attori e le soluzioni registiche in grado di rendere sia l'amore che l'horror. Per me l'horror nasce da sentimenti come la solitudine, l'isolamento e l'alienazione, li ho provati anch'io durante l'infanzia e cerco di ricrearli quando scrivo, me ne sono reso conto solo di recente. A volte mi sento da solo in mezzo al mare, dove devo combattere contro tutti.

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