TORINO 24 – Retrospettiva Claude Chabrol (Parte seconda)

Oggi che abbiamo avuto modo di completare l'itinerario della produzione di Claude Chabrol ci accorgiamo della levità del suo incedere e della corposità dell'opera che costituisce una straordinaria architettura del bene e del male per un cinema che appare, ancora, inafferrabile e misterioso

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Il Torino FilmFestival chiude la rassegna retrospettiva dedicata al cineasta francese che più di altri ha conservato, negli anni, la freschezza iniziale del suo cinema. Ci si accorge, guardando o riguardando i film di Chabrol di quanto la sua attività sia frutto di un paziente lavoro di composizione attraverso strutture cinematografiche apparentemente invisibili. Su queste premesse si fonda la sua straordinaria continuità artistica che trasforma la sua complessiva produzione in continuità della visione tanto da considerare necessariamente unica l'intera sua filmografia, una specie di tracciato in cui la separazione delle parti, non impediscono la composizione di un unico grande progetto. Oggi che abbiamo avuto modo di completare l'itinerario della sua produzione ci accorgiamo della levità del suo incedere e nel contempo, della corposità dell'opera che costituisce una straordinaria architettura del bene e del male, del pericolo e dell'amore, del tradimento e della paura e del dispiegarsi di questi sentimenti all'interno di gruppi concentrati di persone. È opinione diffusa che il cinema di Chabrol freddo e oggettivizzato, costituisca, nel complesso, un corpus esangue nella sua essenzialità. Il cinema di Chabrol è un cinema che nasce dalla scrittura, dalla necessità di una piena adesione del testo al risultato sullo schermo. Claude Chabrol non è un improvvisatore, piuttosto un paziente curatore di meccanismi del tempo, uno straordinario traduttore di pulsioni emotive originarie coltivate con perizia dentro le sue accurate trame, le sue rigorose sequenze, le sue composte immagini dipinte sui volti dei suoi personaggi nella determinatezza del loro progetto finale. È così, dunque, che nascono i film dell'autore francese, ce lo ha spiegato egli stesso nelle quattro ore di incontro che in questi due anni ha avuto con il pubblico della manifestazione torinese, attraverso una ferrea e puntigliosa selezione delle storie da portare sullo schermo per mezzo di un cinema mai urlato in cui la complessità, attraverso un faticoso lavoro di epurazione dell'inutile, del superfluo e del ridondante, viene ridotta a semplicità (mai semplicismo). Secchezza dello stile e brillante semplicità delle storie, per un cinema, che visto oggi, continua da invecchiare bene e riservare inusitate sorprese.

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Questa seconda parte della produzione chabroliana riprende dalla stagione degli anni '70, dal '75 per la precisione, data di uscita di Folies bourgeoises, un film brutto per ammissione dello stesso autore, « Se avete voglia di vedere un film brutto andate a vedere Folies bourgeoises » ha dichiarato pubblicamente.


Chabrol si è cimentato solo due volte nel racconto fantastico con Le scandale (1967) e con Alice ou la dernière fugue (1977). Una storia originale è quella del secondo che avrebbe dovuto essere girato in Irlanda con Shirley McLane e Lawrence Olivier e finì per essere girato nei dintorni di Parigi con Silvia Kristel e Charles Vanel. Film quasi sparito da qualsiasi forma di circolazione e recuperato in video per questa rassegna, ma decisivo e di fondamentale importanza, comunque, in quanto gli permesso di sperimentare i luoghi borghesiani del fantastico con esiti che egli stesso apprezza.

Ma è con i film di indagine che Chabrol dispiega le sue migliori qualità, quei racconti in cui la storia consente l'emulsione inconfondibile del carattere dei propri personaggi che egli scolpisce più attraverso le loro omissioni che attraverso i loro caratteri evidenti. Indagine che non va confinata a quella poliziesca, sebbene larga parte della sua opera sia strettamente legata a questo specifico genere, ma che si allarga fino ad abbracciare i lati segreti della vita della famiglia borghese o quelli che governano la vita in qualunque delle piccole comunità della provincia. Questi i capi d'interesse del regista francese.


Lo studio analitico che Chabrol ha condotto per esaltare le forme della vita familiare sono tra le più variegate che si possono ritrovare nel cinema. Dagli effetti dei segreti della memoria familiare di La Fleur du mal (2002), alla ossessiva gelosia di L'enfer (1994), i dubbi circa la propria origine in Merci pour le chocolat (2000) ("Non capisco come non si possa essere interessati alla propria natura", dice Chabrol a proposito di questo film), all'effetto della menzogna sulla propria e sull'altrui vita anche all'interno di un menage familiare e di una collettività in Au coeur du menzogne (1998) o all'effetto, su un'anima semplice, dell'ossessionante egoismo della madre all'interno di una storia di corruzione e malaffare tutto provinciale in Poulet au vinaigre (1984), alla devianza dell'adulterio e più complessivamente dell'autodistruzione all'interno di un codificato ambiente familiare in Betty (1992).


Cosicché se è vero che la sua opera costituisce il "solido muro", come lo stesso Chabrol ha definito la sua filmografia è altrettanto vero che i suoi film costituiscano una mappa quanto mai variegata e multiforme del molteplice atteggiarsi dell'animo umano. E ciò rende ricco e multiforme il cinema di Chabrol. Ma c'è un tratto, all'interno di questi elementi che accomunano le consequenziali opere del regista, che attrae e affascina. La sua disponibilità a parlare del proprio cinema, più volte dimostrata e di cui il volume prodotto per questa occasione ne è testimonianza concreta, non può essere negata, eppure il suo cinema, nonostante le molteplici parole spese per ricomporne il mosaico, appare, ancora, inafferrabile e misterioso. Così concreto eppure così etereo, dotato di una visione che nasce da uno sguardo puro che apparteneva a Rossellini o all'amatissimo Lang, eppure così profondamente infittito di segreti e sottili oscure pulsioni che lo trasformano, immediatamente, in un oggetto di culto e di attenzione non comune e che ce lo fanno amare senza riserve e senza pudori in attesa del suo La fille coupée en deux.

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